Medici con l'Africa Cuamm

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Ognuno fa quello che può, dove si trova

Sono 635 i casi di Coronavirus in Africa, secondo i dati di oggi. 34 i paesi colpiti, tra i quali anche tre in cui opera Medici con l’Africa Cuamm: Etiopia, Tanzania e Repubblica Centrafricana. Da Bangui, capitale di Rca, le parole di Donata Galloni.

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    Sono preoccupata per quello che sta succedendo in Italia e in Lombardia. È chiaro che in Italia ci sono i mezzi per contenere e seguire la pandemia. Se arrivasse qui, come è probabile, le cose sarebbero ben peggiori. Ci si sta attrezzando dal punto di vista informativo e di sorveglianza; negli aeroporti, con il supporto dell’Oms, Unicef e Croce Rossa, si mettono in atto tutti i protocolli. A Bangui poi c’è un Istituto Pasteur, filiazione di quello di Parigi, proprio qui a fianco dell’ospedale, che ha ricevuto dall’Oms un certo numero di kit per fare diagnosi. Però in tutto il paese non c’è una terapia intensiva. Bisogna individuare un luogo dove fare almeno delle sale di quarantena, è facile dirlo, ma nella pratica è molto difficile. A vantaggio dell’Africa c’è il fatto che avendo una popolazione molto giovane, l’età media qui è di 19,5 anni, è una popolazione forte, anche se non tutta in salute, perché ci sono tanta malnutrizione, Tb e Hiv che indeboliscono, però la spettanza di vita è 52 anni, non si arriva alle nostre fasce avanzate dove la mortalità per Coronavirus è più alta. Anche le condizioni di vita, aiutano, ci sono meno assembramenti in luoghi chiusi. L’Africa sub-Sahariana, dove opera il Cuamm, è quella più povera e più fragile dal punto di vista dei sistemi sanitari. Ma forse la cosa peggiore per l’Africa non sarà tanto la diffusione del virus, quanto piuttosto la conseguente crisi dell’economia che già si sta abbattendo sull’Europa e che pare avrà ripercussioni prolungate anche molto pesanti soprattuto in Africa.

    Ora però è il Morbillo che ci preoccupa. È in corso, da fine gennaio, una epidemia pesantissima che colpisce i bambini. Il morbillo, rispetto al Covid 19, è molto più contagioso. E per il momento, come ha sottolineato il pediatra centrafricano che lavora qui “occupiamoci di quello che abbiamo qui e ora”. Nei mesi di ottobre e novembre è stata fatta una campagna di vaccinazione, quindi sorprende che ora si sia scatenata questa epidemia. Forse la campagna non è stata fatta in modo adeguato, non sappiamo se sia stata rispettata la catena del freddo che, per i vaccini, è fondamentale. Così siamo arrivati, in un mese, ad avere 1.300 bambini con il morbillo che si sono presentati al triage, non tutti necessitavano del ricovero, ne abbiamo ricoverati 200, ma abbiamo in tutto 277 posti letto e 2 sole stanze di isolamento.

    In Africa purtroppo non si può curare tutti, non si riesce a curare tutti come si dovrebbe e vorrebbe. La carenza di risorse non permette di curare tutti con standard di eccellenza. Capisco bene il disagio che stanno provando i colleghi in Italia. Per noi, in Africa, è la condizione quotidiana, a cui peraltro non ci si abitua mai, quella di non essere in grado di guarire chi potrebbe guarire. Il mio pensiero e la mia vicinanza vanno a tutto il personale e ai miei amici dell’ospedale di Cremona, dove ho lavorato, a Castelleone, la mia città. Per certi versi mi piacerebbe essere lì, ma non è possibile, la Rca ha chiuso le frontiere e quindi ciascuno di noi fa quello che deve fare, dove si trova. Come tanti altri miei colleghi, ci sentiamo dei privilegiati a poter fare il nostro lavoro, qui; si avverte un senso di pienezza. L’Africa insegna tanto e trasmette molti valori. Non possiamo dire di vedere grandi soddisfazioni nell’immediato, i risultati si vedono nel lungo periodo. Bisogna avere tanta pazienza e perseveranza, ma è bello poter crescere insieme e accompagnare questi popoli verso qualcosa di meglio e si capisce che loro apprezzano l’essere “con” qualcuno, l’essere accompagnati. E questo vale per la sanità, per l’educazione, per l’economia.(testo estratto da un’intervista a Cremona Tv, del 16/03/2020)