Covid-19 in Africa
Uno sforzo enorme per mettere in sicurezza ospedali, operatori sanitari e comunità e garantire la continuità delle cure, a partire dai più fragili, mamme e bambini. Un impegno che non può aspettare.
L’epidemia di Covid-19 ha dimostrato che siamo tutti legati da uno stesso destino. Da subito Medici con l’Africa Cuamm si è attivata per contrastare la diffusione del virus, dando priorità alla messa in sicurezza dei 23 ospedali supportati, degli operatori sanitari e delle comunità negli 8 paesi in cui opera. L’impegno più urgente è stato rendere disponibili:
- dispositivi di protezione individuale per il personale sanitario e gli addetti alle pulizie, oltre che il materiale necessario per la disinfezione degli ambienti;
- equipaggiamenti minimi per la diagnosi e la gestione clinica;
- tende per allestire zone di triage e unità di isolamento;
- formazione del personale per la gestione di casi sospetti di Covid-19;
- realizzazione di attività di sensibilizzazione a livello comunitario favorendo la diffusione di comportamenti corretti da adottare in questo periodo.
Ma la situazione resta di massimo allarme. Tra fine dicembre 2020 e fine gennaio 2021 si è verificato un aumento del 50% dei casi notificati e delle morti rispetto alle quattro settimane precedenti. Predomina la variante sudafricana. Anche la variante inglese è stata riscontrata in Gambia e in Nigeria. Tutto viaggia velocemente. Basti pensare che delle quattro varianti del virus che preoccupano di più, due si sono sviluppate in paesi del Sud del mondo: Sudafrica e Brasile. Eppure a fine gennaio, solo 25 erano le dosi somministrate in Africa. Mentre il Canada ha dosi per vaccinare 5 volte la sua popolazione e l’Europa ne ha acquistate il doppio di quelle che le servono.
L’Africa rischia di restare indietro. I vaccini devono essere conservati, trasportati e distribuiti grazie a sistemi sanitari minimamente funzionanti. Allo stesso modo dobbiamo continuare a curare, in sicurezza, le malattie molto più normali, quotidiane, ‘banali’, come la malaria, il morbillo, il parto complicato e la malnutrizione. Le epidemie non sono democratiche. Colpiscono in maniera più dura i più deboli, quelli che non hanno i mezzi, anche economici, per proteggersi. Si ammalano di più, ma le cure costano e non possono permettersi di non lavorare. Non possono aspettare.
Per paura del contagio le mamme rischiano di partorire a casa, aumentando la mortalità legata al parto. Il pericolo è lasciare sul campo più danni e più vittime della stessa epidemia e per questo stiamo lavorando per rinforzare il nostro intervento in salute materno infantile sostenendo il servizio di 14 “case d’attesa” in 5 dei nostri paesi d’intervento assicurando cibo, visite prenatali e un parto sicuro alle mamme e ai loro bambini. (link)
Di seguito, la descrizione delle attività realizzate, paese per paese, nei mesi scorsi, grazie al sostegno di tanti, per proteggere gli operatori sanitari e i pazienti e sensibilizzare le comunità sui rischi di contagio.