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Una tregua inaspettata

Il racconto di un lunedì nella Terapia intensiva pediatrica dell’Ospedale di Bangui, in Repubblica Centrafricana.

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    «È una calda mattina in Terapia intensiva del Complesso Ospedaliero Universitario Pediatrico di Bangui: calda perché da due giorni non piove e oggi pare che l’aria condizionata faccia le bizze, calda perché è un lunedì, e come spesso succede di lunedì un terzo degli undici letti che sono affidati alla mia collega Baptistine e a me sono occupati da pazienti nuovi, arrivati al Pronto Soccorso in codice rosso. Calda anche perché Baptistine, che ha avuto il turno di notte ieri, oggi non c’è, e quindi devo valutare i pazienti insieme alle infermiere, barcamenandomi con quel poco di sango (la lingua più parlata in Repubblica Centrafricana) che conosco per interagire con i genitori.
    Il mio collega Saturnin compare sull’uscio della grande sala, e mi saluta in italiano (ha fatto una parte della scuola di Specializzazione in Italia, grazie a un progetto della Santa Sede), gentile e sorridente come sempre: “Avrei un bambino da trasferirti”. Mi spiace, Saturnin, la mia sala è piena, e poi qui, vedi, i bambini sono tutti instabili, il tuo bambino non ha un’instabilità cardiaca, respiratoria o neurologica, non posso accettarlo…più tardi passo comunque a vederlo. Nel pomeriggio, una volta sistemati i miei piccoli pazienti, vado nella sala dove si trova il bambino per cui il mio collega ci chiede il trasferimento. Il bambino, che in realtà è una bella bimba di 5 anni di nome Jaelle, accompagnata da una giovane donna spiritosa e allegra. Jaelle ha la pelle di tutto il corpo fissurata a causa di quella che nei giorni seguenti diagnosticheremo essere una “SSSS” (Staphylococcical Scalded Skin Syndrome), una malattia che credevo fosse relegata al libro di microbiologia del mio terzo anno di medicina. Sta patendo un dolore inimmaginabile, ma nell’istante in cui mi vede arrivare, si spaventa come avesse visto un fantasma e comincia ad urlare strabuzzando gli occhi: “Mondjouuuu” (“bianca”). A nulla serve il mio tentativo di spiegarle con la mediazione di Saturnin che non le farò del male e che sono lì per prendermi cura di lei. Capita spesso che i bambini abbiano paura di me, vedendo la mia pelle così diversa dalla loro: per non turbarla, chiudo in fretta la visita, accordiamo il trasferimento, chiediamo al nostro logista di sistemare sul suo nuovo letto una zanzariera che impedisca agli insetti di arrivare alla sua pelle così fragile. Nei giorni successivi ad ogni mio ingresso in Terapia intensiva Jaelle urla, intimandomi di non avvicinarmi e di non visitarla, mi propone piuttosto “stai lontana e mandami i bacini”, destando l’ilarità dei genitori degli altri pazienti e degli infermieri. Insegniamo alla madre ad assisterla con i guanti, a lavarla due volte al giorno con soluzioni sterili, a darle da mangiare i cibi più proteici per aiutare la guarigione. Le consigliamo le uova, le sardine, la carne, ma si sa, non sono cose che uno stipendio centrafricano medio permetta di acquistare ogni giorno; le proponiamo allora di darle i fagioli, oppure la farina di “makongo” cioè dei bruchi essiccati, la cui disponibilità nei mesi estivi è motivo di festa in tutto il Paese, rappresentando i bruchi una delle poche fonti di proteine accessibili a quasi tutte le tasche. L’infaticabile madre sembra l’unica che riesca a tenere a bada i capricci della piccola, che ha un carattere tutt’altro che remissivo, e Jaelle con le sue cure pazienti (e i nostri antibiotici) sta sempre meglio. L’ottavo giorno di ricovero mi chiama da lei, “Mondjou!”. Mi avvicino e sollevo la zanzariera: mi guarda senza farsi scorgere dagli altri e mi porge tremante la manina scorticata, che si sta lentamente cicatrizzando, in un gesto che si fa per chiedere e dare il saluto alle persone di cui si pensa di potersi fidare. Il suo modo per dirmi che possiamo stabilire finalmente una tregua».

    Testimonianza di Giulia Debertolis, Jpo di Pediatra a Bangui, in Repubblica Centrafricana

     

     

    Fondo Bekou

    https://ec.europa.eu/

    Il Cuamm interviene nell’ambito del progetto “Supporto al Complesso Ospedaliero Universitario Pediatrico di Bangui”, finanziato dal Fondo Bekou dell’Unione Europea e realizzato in collaborazione con Action contre la Faim.
    I contenuti sono di sola responsabilità di Medici con l’Africa Cuamm e non riflettono necessariamente la visione dell’Unione Europea.