Di mamma ce n’è una sola Un paio di forbici gialle
Quando un paio di forbici e tanta determinazione fanno la differenza. Arriva da Chiulo, in Angola, il racconto di un parto straordinario portato a termine grazie all’aiuto di una giovane ostetrica del Cuamm.

«Quel giorno era stato particolarmente intenso, a dire la verità, anche i giorni precedenti, erano stati difficili. Tra un’emorragia post partum e l’altra, due interventi demolitivi di isterectomia in 72 ore per salvare la vita a due giovani donne di 24 e 28 anni, non c’era stato un attimo di respiro. Qui la difficoltà più grande è quella di misurarsi ogni giorno con il fatto di non avere nulla, ti senti impotente, perché in ogni momento ti chiedi: “Con cosa faccio? Con niente!” È sempre la risposta. Però poi ci sono giorni in cui riesci a fare “tutto con il niente che hai”. E mai avrei pensato che mi sarebbe capitato una cosa del genere: è stato il parto più straordinario a cui io abbia assistito».
È ancora emozionata Matilde Lusiani, quando racconta quello che ha vissuto. Ha 24 anni, è una giovane ostetrica di Padova e ha scelto di trascorrere un anno di servizio civile con il Cuamm a Chiulo, in Angola.
«Erano circa le 17, ero appena arrivata a casa e mi ero messa a sbrigare alcune pratiche, quando arriva di corsa una ragazza, tutta trafelata. Ero sola, perché Anna, la specializzanda in Pediatria, e Alberto, il ginecologo senior, erano stati chiamati per un parto urgente con ventosa. Sto prendendo dimestichezza con il portoghese e capisco subito che una donna sta partorendo fuori dall’ospedale, ma non c’è tempo di farla arrivare in sala parto. E allora, mollo tutto, prendo un paio di guanti e corro dietro alla ragazza».
«Corro in direzione della chiesa, saranno 200 metri dall’ospedale, proprio davanti alla stazione della polizia, c’è una donna che sta partorendo, accovacciata sotto un albero, tra le galline e le moto che le passano affianco. Sotto di lei, solo un panno sporco. Quando arrivo, mi accorgo che la testa della bambina è già fuori, quindi basta una seconda spinta ed esce. Utilizzo l’elastico dei guanti per clampare il cordone ombelicale e lo taglio con un paio di piccole forbici con punta arrotondata, di quelle che si usano alle elementari, con i manici gialli. Le avevo nella tasca del camice, me li aveva lasciate l’ultima specializzanda che era stata a Chiulo. Credo che non le toglierò mai più dalla tasca». Nel frattempo urlo ai poliziotti di andare in ospedale a recuperare una barella, per fortuna arriva in aiuto anche un infermiere locale che aveva smontato il turno ma, vista la situazione, ha capito che c’era bisogno.
Prendo la piccola, tutta sporca di sangue e terra rossa, adagiamo la mamma sulla barella e nella breve corsa affannata fino all’ospedale, tengo in braccio la bambina e con l’altra mano continuo a massaggiare l’utero della mamma, per paura che partisse l’emorragia. Nel frattempo arriva Anna, la specializzanda in pediatria, che si occupa della bimba, mentre portiamo la mamma in sala parto.
Kalule, così si chiama, ora sta bene e anche la sua piccola, che ancora non ha nome. Come è abitudine in Africa, si aspetta di vedere se riesce a vivere il primo delicatissimo periodo. Veniva da molto lontano, Kalule, da sola, senza aiuto. Poco più di 30 anni, al quinto figlio. Per fortuna tutto è andato bene, ma il primo pensiero è stato per quelle donne che non arrivano in tempo, per quelle che partoriscono lontano, nei villaggi, senza assistenza. A quanto cruciale sia il tema dell’accesso ai servizi sanitari, a quanto importante sia il servizio offerto dal Cuamm, a Chiulo, con le Case di attesa, dove le mamme arrivano alcune settimane prima del parto, per evitare che percorrano tanti chilometri a piedi, con le doglie. L’emozione e l’adrenalina che ho provato rimarranno per sempre impresse nei miei ricordi. E con esse, la forza e il coraggio di una donna, della sua bimba e di questo miracolo che è la vita che, ogni giorno, in Africa ci dona momenti durissimi, ma anche meravigliosi».