Medici con l'Africa Cuamm

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Fare tanto e fare bene

La testimonianza di Maria Mattiotti, specializzanda in Nefrologia all’Università di Bologna, tornata dall’ospedale di Tosamaganga come Junior Project Officer.

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    «Sono felice di avere scelto di partire con il Cuamm: un’organizzazione da tempo impegnata a Tosamaganga e riconosciuta dalle istituzioni locali con cui coopera. Questo favorisce le dinamiche quotidiane che ho vissuto in ospedale, tra medico e paziente che accoglie e ha fiducia nei sanitari.

    La mia specializzazione è poco comune. Sono arrivata in Tanzania come Junior Project Officer in Medicina interna, dato che la Nefrologia è una specialistica che, anche in Italia, non è presente in tutti gli ospedali. A Tosamaganga ho trovato una situazione quasi paradossale, perché da pochi mesi è stata completata la costruzione della dialisi. Un servizio che, in un sistema sanitario a pagamento, possono permettersi in pochi, soltanto coloro che usufruiscono di un’assicurazione. Viceversa, mancano molti altri servizi di base, esami meno costosi, accessibili, che potrebbero garantire una diagnostica minima.

    Durante l’esperienza, ho seguito anche l’ambulatorio sulle malattie croniche non trasmissibili, ogni anno in aumento. L’aspetto complesso qui è fare capire al paziente il significato di cronicità: un concetto difficile da trasmettere, ma soprattutto da fare accettare. Anche in Italia non è immediato, a maggior ragione in ambienti come la Tanzania, dove la terapia non è praticata con un sistema di esenzioni come il nostro. Fondamentale in questa comunicazione la collaborazione con lo staff infermieristico dell’ambulatorio, in grado di cogliere il disagio di ogni utente e delle loro famiglie. E, di conseguenza, di segnalarci quelle situazioni che necessitavano di un contributo concreto ed economico per l’aderenza alla terapia.

    Non posso dimenticare un paziente, adolescente, con diabete all’esordio, forse congenito o causato da malnutrizione. Senza dubbio, ha contribuito all’aggravarsi della patologia il fatto che il giovane a casa non fosse nutrito e subisse gravi maltrattamenti. Al di là della stabilizzazione clinica che, con il ricovero, gli abbiamo offerto, grazie all’interessamento della mia tutor Noemi Bazzanini, abbiamo potuto far prendere in carico questo ragazzino da una comunità di accoglienza e consentirgli non solo una gestione più che accurata della sua malattia, ma anche la possibilità di studiare e di essere amato, di avere quel futuro che il contesto familiare non sembrava promettere».

    Quello che non si vede…

    «È l’impegno degli operatori sanitari locali. Ho potuto conoscere medici, infermieri, ostetriche che fanno tanto e fanno bene, con competenza e passione. Per me l’Africa era novità, così, la mia tutor ha saputo guidarmi e ha condiviso molto della sua esperienza, consentendomi di cogliere di più di quanto non avrei potuto fare da sola. Anche il personale tanzaniano mi ha insegnato come si lavora in quell’ambiente e con quella cultura. Naturalmente, ben lungi da averlo appreso in toto, ma almeno ho imparato a guardare da altri punti di vista.

    Questo per me è stato un primo assaggio dell’Africa, che da tempo desideravo conoscere. Vorrei consolidare la mia professionalità per tornare sul campo e fare un po’ più la differenza rispetto a questa prima volta. Per ora non sono numerosi i centri per la cura delle malattie croniche, ma farli crescere è una delle priorità dell’Organizzazione mondiale della sanità, visto che i casi emergono con l’aumento dell’età media della popolazione».

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