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Il mese del creato dal Sud del mondo

Si è celebrata l’1 settembre la Giornata per la Cura del Creato e tutto il mese di settembre è dedicato al tema della cura del nostro pianeta. Da Pujehun, ci arrivano le riflessioni di Gelmino e Daniela, due cooperanti di lunga esperienza, impegnati in Sierra Leone.

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    Settembre, mese del creato. Su whatsapp e in mail ci arrivano dall’Italia numerosi spunti, meditazioni, conferenze, un bel movimento di idee e persone. Illuminante il messaggio di Papa Francesco: “Che scorrano la giustizia e la pace”, ispirato dalle parole del profeta Amos (Amos 4,24).

    Il concetto di giustizia che sta alla base della salvaguardia del creato in terra d’Africa è difficile da capire e ancora di più da attuare. Questo continente è stato, e lo è ancora, l’immondezzaio dell’Europa. Tonnel­late di rifiuti continuano ad arrivare con le navi e vengono seppelliti chissà dove e molti altri an­cora giungono trasportati dalle correnti marine e si depositano sulle rive e sulle spiagge. Quando ar­rivi all’imbarcadero dell’aeroporto di Freetown quello che balza agli occhi è una distesa di plastica che galleggia sul mare che poi deposita sulla spiaggia.

    Certo non è solo colpa “nostra”. Gli africani non sempre possono permettersi la cultura della salvaguardia dell’ambiente o forse l’hanno perduta nella smania di inse­guire il sogno occidentale, nell’aspirazione irrazionale all’effimero, di cui siamo così astuti trafficanti, e che tanto li ammalia.

    La raccolta differenziata non esiste e sarebbe anche faticosissimo attuarla in questi contesti. A dir il vero un po’ di differenziata si fa: si butta tutto per terra, quello che è organico viene mangiato dalle ca­pre e pecore che scorrazzano libere per le strade, ma il resto? Ogni tanto qua e là si levano fumi grigiastri, segnale inquietante che si sta bruciando la plastica, diossina che se ne va nell’aria e poi nei polmoni della gente. L’acqua da bere viene venduta in bustine di pla­stica che poi trovi dappertutto, dai margini delle strade alla foresta. In ufficio abbiamo messo dei dispen­ser e i nostri dipendenti hanno la borraccia, qualcuna la si comincia a vedere in vendita al mer­cato, ma la strada è lunga e faticosa. Per quanto usi la borsa di tela per gli acquisti e non la “plastichi”, come viene chiamato il sacchetto nero, anche il nostro impatto, la nostra impronta ecologica è elevata.

    Il problema sta tutto qui: come vivere, ma quale vita? Quella del momento effimero e transitorio, del veloce appagamento personale, o la vita di tutti, di ora e dei giorni futuri e lontani?

    Una responsabilità di cui forse non siamo pienamente consapevoli o che dolosamente rifiutiamo, ma che, nostra malgrado, interpella la nostra coscienza.

    Daniela Brunelli e Gelmino Tosi

     

     

     

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