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Una storia di coraggio e cioccolata

Il dolore che prova, Ansu, è immenso, ma questo scricciolo ha un coraggio che commuove e affronta i corridoi dell’ospedale reggendosi con una mano al vestito della mamma e con l’altra alla parete del corridoio. Alessandra Cattani, medico Cuamm a Pujehun, ci racconta una bella storia a lieto fine.

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    Ansu ha 4 anni. Arriva all’ospedale di Pujehun, in un tardo pomeriggio, insieme alla sua mamma. Ha un’ustione, causata dall’acqua bollente, che prende parte della faccia, della pancia e delle gambe. Risale a due settimane prima. Dopo aver cercato aiuto in un Centro di salute, senza alcun miglioramento, la mamma decide di portarlo in ospedale. L’ustione non è particolarmente estesa, ma è grave a causa della profondità e dell’infezione che si è aggiunta.

    Quando mi avvicino, sul suo volto si legge paura e sofferenza. Lavo la parte ustionata con la soluzione fisiologica, per rimuovere la tintura applicata nel centro di salute, ma decido che è meglio rimandare la medicazione al giorno dopo.

    Il giorno seguente, con una blanda sedazione, eseguiamo l’escarectomia, cioè l’asportazione della cute e dei tessuti morti. Metto la copertura antibiotica e analgesica, conscia che la parte esposta, ora vitale e sanguinante, è molto dolente. Le successive medicazioni devono essere effettuate almeno ogni due giorni e protratte sino alla guarigione. Le prime, le più dolorose, decido di farle con una leggera anestesia, poi senza. Raccomando alla mamma di fargli fare esercizio con le gambe, flettendole ed estendendole e di metterlo in piedi per farlo camminare il più precocemente possibile.

    Il dolore che prova è immenso, ma questo scricciolo ha un coraggio che commuove e affronta i corridoi dell’ospedale reggendosi con una mano al vestito della mamma e con l’altra alla parete del corridoio. La determinazione con cui si sottopone alle medicazioni, piangendo in silenzio, con gli occhi chiusi e stringendo le mani della mamma, ma senza sottrarsi è sorprendete. Durante la medicazione ha preso l’abitudine di ripetere, come una litania, “Oh, God! Oh, Jesus!”

     

     

    È un percorso tutto in salita. I primi mesi sono molto duri, le ferite sembrano non ridursi mai, i tessuti esposti perdono plasma e proteine, Ansu dimagrisce e si gonfia per l’edema dei tessuti causato dall’ipoproteinemia e diventa via via sempre più anemico. Riceve ben tre trasfusioni di sangue, oltre al cibo iperproteico destinato ai bambini malnutriti. Col passare del tempo sia le condizioni generali, che la cute ustionata migliorano, e comincia a correre per i corridoi, coperto solo da una maglietta, con una andatura traballante. In poco tempo diventa la mascotte dell’ospedale. Purtroppo però le medicazioni diventano una vera croce: logorato dal tanto tempo trascorso in ospedale è sempre più insofferente e comincia a ribellarsi. Quando mi vede arrivare col kit della medicazione, scappa, inizia a strillare, si butta per terra o sotto il letto, scalcia, grida e piange. Ogni volta diventa una lotta. Per rendergliele più sopportabili lo premio al termine della procedura. Ho l’abitudine di portarmi dall’Italia delle tavolette di cioccolato, per i “momenti di crisi”. Pensando a questo bambino che, alla sua età, ha già dovuto soffrire così tanto, divido le tavolette in quadretti, li incarto e poi glieli dono come piccola consolazione, al termine di ciascuna medicazione. Quando dimentico di portare con me la cioccolata, mi rivolge uno sguardo di rimprovero, pur senza mai chiedere nulla.

    Una mattina in cui sono particolarmente stanca per aver lavorato in sala operatoria tutta la notte, mi reco da lui per la medicazione e non lo trovo. Aspetto pazientemente per una decina di minuti, quindi vado a cercarlo; scorgo la madre che, agguantatolo per un braccio, lo trascina verso la stanza, mentre lui lotta per liberarsi. Continua poi a dimenarsi e sottrarsi, gridando e scalciando. In tre genitori tentano di calmarlo e tenerlo fermo, ma invano. Allora, senza una parola, raccolgo il materiale e me ne vado. Per tutta la giornata non torno a vederlo. Il giorno dopo continuo a ignorarlo, nonostante lo veda gironzolare timoroso e mortificato per i corridoi. Il mattino del terzo giorno, la madre mi viene a dire che nelle due notti precedenti Ansu è rimasto seduto sul letto, incapace a prendere sonno, per la preoccupazione che le gambe non gli sarebbero più guarite per aver saltato le medicazioni. Poi, mentre sto facendo il giro visita in Maternità, un’infermiera mi dice “Doc, c’è Ansu”. Mi giro e lo vedo sulla soglia, che si nasconde dietro lo stipite della porta. Piano piano si fa coraggio e, a testa bassa, a piccoli passi, si avvicina e, all’improvviso, senza una parola, mi tende la mano. Poco dopo facciamo la medicazione. Questa volta: due quadretti di cioccolato.

    Così tra alti e bassi, tra lotte e rappacificazioni, il nostro rapporto si consolida, fino alla tanto agognata guarigione e alla dimissione. Lo saluto e gli regalo tutta la cioccolata rimasta.

    Alessandra Cattani, medico Cuamm a Pujehun in Sierra Leone.