Medici con l'Africa Cuamm

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Al via un intervento in Tigray, Etiopia

Nel nord dell’Etiopia, in Tigray, si sta consumando una guerra fratricida che non risparmia nessuno. La gente fugge dalle proprie case per paura dei ribelli. La situazione è drammatica. Medici con l’Africa Cuamm, grazie all’appoggio della Cei, dà il via a un intervento di sostegno ad alcuni centri di salute distrutti dagli scontri. E su tutto questo, incombe il Covid 19, che è necessario arginare.

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    È una guerra dimenticata, di cui nessuno parla, lontana dall’attenzione dell’Occidente così concentrato nella sua lotta quotidiana al Covid 19. Eppure quello che dal 4 novembre si sta consumando in Tigray, nel nord dell’Etiopia, è uno scontro che non risparmia nessuno. Massacri, violenze, pulizia etnica, centinaia di fedeli e pellegrini uccisi, distruzione di templi e monasteri, come ha confermato di recente Amnesty International. Sono almeno 222.413 gli sfollati interni nella regione del Tigray e 63.600 quelli interni nelle regioni limitrofe di Amhara e Afar. Secondo l’UNCHR, al 12 gennaio 2021, circa 57.500 persone hanno attraversato il confine con il Sudan, principalmente dal Tigray.

    Si stima che siano 5 milioni le persone che necessitano di beni alimentari. Su 7 milioni, sono il 70%. – racconta Riccardo Buson, rappresentante del Cuamm in Etiopia –. Il sistema sanitario è quasi completamente distrutto. Un numero imprecisato di centri sanitari è stato saccheggiato e gli operatori sanitari, non retribuiti, hanno lasciato i loro posti di lavoro. L’Oms stima che solo il 22% delle strutture sanitarie sia funzionante. La popolazione ha bisogno di tutto, ma soprattutto di cibo e assistenza sanitaria.

    L’Etiopia conta oltre 109 milioni di abitanti, divisi in 80 etnie. In Tigray, regione del Nord grande poco più di Lombardia e Piemonte insieme, si concentrano 7 milioni di persone, per la maggioranza tigrini, ovvero il 6% dell’intera popolazione etiopica. Con l’arrivo al potere del premier Abiy, di etnia Oromo, nel 2018, le relazioni tra i tigrini e il resto del paese si sono complicate, fino ad arrivare agli scontri e alla guerra civile. A pagarne il prezzo maggiore, come sempre, la popolazione e i più poveri.

    Grazie ai fondi stanziati dalla CEI, attraverso Caritas Italiana, e in collaborazione con la Chiesa Cattolica Etiope, Medici con l’Africa Cuamm avvierà nelle prossime settimane un intervento nell’area tra Adigrat e Makellè, le principali città della regione.

    La zona in cui interverremo, per i prossimi 9 mesi circa, è quella fascia che va da Adigrat, più a nord, a Makellè, più a sud. Tutta quell’area rimane altamente instabile. Finora nessuno poteva entrare, e le comunicazioni erano bloccate. Da alcuni giorni, si sta vedendo qualche segnale di miglioramento, visto che dal 26 febbraio hanno anche riaperto i voli umanitari per raggiungere le due cittadine – riprende Buson –. Purtroppo però le zone rurali sono ancora in una situazione di anarchia. Sono state arrestate le autorità locali, ma non sono state sostituite, quindi la popolazione è abbandonata a se stessa.

    Il supporto si concentrerà su tre centri sanitari, gestiti da differenti congregazioni religiose, fortemente danneggiati: il centro Idaga Hamus, poco distante da Adigrat, quasi interamente distrutto dagli scontri, e i centri sanitari di Shire e Alitena, nella zona centrale vicini ad Adua. Mancano i farmaci salva-vita, presidi sanitari, l’equipaggiamento, l’acqua pulita, l’elettricità. Oltre a questo, il Cuamm fornirà farmaci e materiali sanitari all’ospedale governativo “Ayder” di Makellé, anche questo gravemente colpito. Oltre alla riabilitazione dei centri, è necessario poi rimotivare il personale sanitario perché torni a prestare assistenza e soccorso alla popolazione.

    Il direttore don Dante Carraro spiega la scelta di intervenire:

    La situazione in Tigray è molto grave. Le poche informazioni che arrivano dicono di gente disperata, che fugge perché ha paura dei massacri e delle violenze. Lasciano le loro case e cercano di nascondersi ai ribelli, rimanendo per giorni senza acqua pulita e senza cibo. “A cry for urgent humanitarian emergency/Un grido per un’emergenza umanitaria urgente”: sono le accorate parole del vescovo di Adigrat, mons. Tesfaselassie Medhin. Come rimanere indifferenti di fronte a una richiesta così drammatica, davanti a un bisogno così estremo? Quando il vescovo ci ha domandato di intervenire, raccontandoci la situazione, abbiamo deciso che qualcosa dovevamo fare. Operiamo in Etiopia dal 1980, con l’obiettivo dello sviluppo del sistema sanitario. Oggi siamo a Gambella, nella zona ovest, a Wolisso, al centro, poco distante da Addis e in South Omo, nel sud del paese. Per 10 anni abbiamo lavorato anche ad Adigrat, in un centro per disabili. Come Cuamm non ci tiriamo indietro di fronte alle emergenze, ci rimbocchiamo le maniche e cerchiamo di trovare soluzioni, di portare risposte concrete, a cominciare da piccoli, ma essenziali, interventi come il ricostruire un centro sanitario o fornire i farmaci che mancano.

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