Ne è valsa la pena
Don Dante, di ritorno dal Tigray, racconta il desiderio di pace e di ricostruzione, a partire da incontri speciali e da persone che hanno voglia di fare la propria parte per un nuovo futuro.
Carissime e carissimi,
ci sono incontri che ti restano incollati addosso. Lo è stato per me, qualche giorno fa quello a Shire con il dott. Amanuel responsabile sanitario della salute del Tigray. Le sue parole mi hanno regalato un’emozione così profonda e potente che mi permetto di condividere con voi: «Don Dante, durante la guerra, ogni mattina, ho continuato ad andare nel mio ufficio, a sedermi alla mia scrivania, ad accendere il computer. E dentro di me sentivo tutta la fatica di continuare a credere a quello che stavo facendo, perché era come un macigno che pesava sulla mia motivazione più profonda. Oggi vedo e capisco che ne è valsa la pena, perché siamo qui, insieme, per ricostruire». Un grande segnale di fiducia e speranza.
Siamo a Shire nel nord-ovest del Tigray, la regione più a nord dell’Etiopia. È in queste parole che trovo il senso profondo del nostro impegno, come Cuamm. Il senso di essere vicini alle tante ferite della storia e di diventare unguento per lenire e ricucire le lacerazioni, in una regione distrutta e martoriata dalle atrocità di una guerra civile che ha seminato violenza, macerie e miseria. Si calcolano 500mila vittime e 1 milione di sfollati.
Di questi, ben 500mila sono a Shire, all’80% ospitati dalle famiglie che hanno saputo accogliere chi scappava. Una solidarietà concreta, come quella di questo nuovo intervento del Cuamm, reso possibile grazie al sostegno del Governo Italiano e realizzato grazie a tante speciali collaborazioni, per dare risposte ai bisogni della gente, per ricostruire ciò che è stato distrutto, a cominciare proprio dall’ospedale di Shire. Un intervento, questo del Cuamm, che provo a riassumere in tre parole: dove, quando e come.
Dove? Abbiamo concentrato l’intervento nell’ospedale di Shire, il più importante della città. Con 250 posti letto, è l’unica struttura in grado di dare qualche risposta, seppur precaria, alla popolazione e agli sfollati. Due anni fa l’ospedale ha fatto 4.000 parti. L’anno scorso i parti sono saliti a 5.500. Anche questo è un segno di ripresa, ma proprio per questo è indispensabile potenziare la rete periferica. Di qui l’intervento anche su un piccolo ospedale più a sud, quello di Indabaguna, a quaranta minuti di fuori strada. Una struttura che vorremmo mettere in funzione insieme ad altri quattro centri sanitari: Alaganesh, Hoomar, Five Angels e Sant’Agostin.
Quando? “Oggi e ora”, perché fortissimo è il desiderio di riscatto, di ritornare alla normalità. È quello che ho letto negli occhi dei giovani che ho incontrato. La cooperazione non è fatta solo di grandi strategie, ma di cose concrete da fare oggi, senza aspettare. Questo è l’impegno che ci siamo assunti.
Come? Insieme. Quel con che ci portiamo nel nome diventa reale, a cominciare dalle autorità locali che erano presenti, dal presidente del Tigray, Getachew Reda al dott. Amanuel Haile responsabile regionale della salute; con partner e sostenitori, come il Governo italiano; con la popolazione, le realtà e le associazioni locali. Solo insieme riusciremo a ricostruire il futuro di quest’area.
Spero davvero che a novembre, al nostro Annual Meeting a Torino, possano partecipare il presidente del Tigray e il direttore Amanuel, insieme al nostro ambasciatore. Presenze concrete di persone con cui vogliamo ricostruire un futuro e ridare speranza a tanti.
Accanto a loro, spero nella vostra presenza, insieme a quella di tanti altri amici e compagni di strada su cui non mancherò di tenervi aggiornati. Vi aspetto il 16 novembre a Torino!
Grazie di essere al nostro fianco.
D.Dante