Giovani pronti a partire
La testimonianza di Maria Chiara, specializzanda in malattie infettive, che ha trascorso sei mesi in Etiopia, un’esperienza concreta che aiuta a comprendere meglio la medicina nei paesi a risorse limitate.
«Lo rifarei! Se tornassi indietro sceglierei di partire, senza dubbio!» racconta Maria Chiara Susini, originaria di Pisa, partita per l’Etiopia con il programma Junior Project Officer (JPO) e grazie al sostengo della Fondazione Carisbo, che ha finanziato la sua borsa di studio. Sei mesi di formazione teorico-pratica in Africa, rivolta a medici specializzandi che desiderano misurarsi nell’ambito della cooperazione sanitaria internazionale e affrontare le sfide della salute globale. Un’esperienza che aiuta a comprendere meglio la medicina nei paesi a risorse limitate e arricchisce sia dal punto di vista professionale che personale. Maria è stata inviata all’Ospedale di Wolisso che garantisce oltre 10.000 ricoveri e 4.000 parti assistiti all’anno, una struttura di riferimento per tutto il territorio e dove il Cuamm è impegnato da oltre 20 anni: «Ho scelto di partire con il Cuamm perché condivido l’approccio basato sulla collaborazione e il dialogo continuo. Ma sul campo mi sono scontrata con una realtà difficile, dove la carenza di risorse rende tutto più complesso: io sono andata in Africa con il mio pacchetto di conoscenze “teoriche”, ma in pratica non è stato così semplice condividerle. Il personale sanitario è sottopagato, quindi i medici e gli infermieri sono spesso demotivati a fare di più. Bisognerebbe investire nei giovani, organizzare incontri formativi e di sensibilizzazione per la popolazione, c’è molto da migliorare, ma alla fine, per tutto, servono i fondi. – Maria Chiara non nasconde le fatiche di questa esperienza, che le ha insegnato molto, anche nei suoi aspetti quotidiani più duri. Ma si illumina non appena parla dei pazienti. – Porto nel cuore un ricordo in particolare ed è il sorriso che mamme e bambini mi hanno rivolto incontrando il mio sguardo, un dialogo silenzioso che oltrepassa ogni barriera, anche quella culturale, ed è un linguaggio universale in cui tutti ci comprendiamo».