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Lunghe file silenziose

12 aprile – A un mese dal mio ultimo viaggio trovo una Chernivsti molto diversa. Lunghe file di persone che aspettano, con pazienza, un sacchetto di alimenti e prodotti per l’igiene. In silenzio, senza lamentarsi. Sono donne e bambini. Non parlano. Nei loro occhi si legge una profonda tristezza, oltre che grande rassegnazione.

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    12 aprile – Arrivo a Chernivsti di mattina. Viene a prendermi, al confine, Roman, accompagnato da suo figlio di 8 anni che, come tutti i bambini della sua età, adora il calcio e lungo il tragitto ci tiene a mostrarmi lo stadio in cui gioca lo “United Chernivsti”. Una parentesi di “normalità e leggerezza” che i bambini sono sempre capaci di trasmettere. Davanti agli uffici di Vrb, però mi trovo davanti una realtà molto più dura. Si è formata una lunga fila di persone. Non c’era un mese fa, quando sono venuto qui per la prima volta. Aspettano, in silenzio, senza lamentarsi, con pazienza, di ricevere un sacchetto con un po’ di alimenti e di prodotti per l’igiene personale. Sono donne e bambini. Quello che più mi colpisce è che non parlano. Nei loro occhi si legge quasi una sorta di imbarazzo, per l’essere ospiti in una nuova città, per questa esistenza “sospesa”, nelle mani di connazionali sconosciuti che si prendono cura di loro. Riceveranno del porridge proteico, biscotti e farina e un po’ di sapone. E nonostante per le strade si vedono molti più militari e polizia di un tempo, la gente sembra quasi voglia illudersi che la guerra è lontana. A dimostrare che non è così, sono i tanti cartelli con scritto “бункер” (bunker) e quelli con le frecce che indicano dove scappare in caso di bombardamento. Davvero qui la pace e la normalità sono solo una parvenza o una speranza molto, molto flebile.

    Andrea Atzori, responsabile Relazioni Internazionali

     

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