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A Chiulo non si impara mai da soli

Nicoletta Menzella e Alessandro Baroni, specializzandi in Pediatria e in Ginecologia, condividono il racconto della loro missione a Chiulo, in Angola, dove hanno trascorso sei mesi come Junior Project Officer.

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    Grazie al programma JPO con il Cuamm, Nicoletta e Alessandro, coppia nella vita e sul lavoro, sono partiti da Roma, dove studiano, per il piccolo villaggio di Chiulo, nel Sud dell’Angola. «Per noi – esordisce Nicoletta, al rientro – è stata un’avventura umana e professionale estremamente positiva. Un’opportunità per fare esperienza, intervenendo su condizioni acute di pazienti, quando c’era davvero un grave sintomo su cui fare la differenza. Un aspetto per nulla scontato rispetto a quello a cui siamo abituati in Italia, dove spesso visitiamo persone sane per confermare il loro stato di salute. Senza dubbio, un servizio fondamentale, ma in Africa i bambini, come le mamme, arrivano quasi sempre in uno stadio avanzato della malattia.

    Chiulo è una realtà rurale, dove l’ospedale accoglie persone provenienti dal villaggio, che vivono di bisogni primari, ma anche dai centri urbani vicini. Ho incontrato mamme più sensibili alle necessità dei figli, altre un po’ meno. A volte, ho avuto la sensazione di lottare più io per la vita di quel piccolo, che non la mamma stessa. Che cosa fare, allora? Ho cercato di trovare la chiave per comunicare al genitore che, nonostante tutte le difficoltà, c’è la possibilità che la vita, la salute migliorino. Se con i “grandi” ho faticato, con i bambini, invece, la relazione è stata meravigliosa: i loro occhi vivaci esprimono bisogno di affetto e di cure. È questo che mi ha permesso di superare gli ostacoli e che mi ha spronato a fare del mio meglio!

    Un altro elemento che mi ha dato lo slancio è stato provare a trasmettere ai colleghi angolani qualche mia conoscenza, perché il mio contributo non inizi e finisca con me. Ma vada avanti, grazie alla condivisione! È capitato di seguire pazienti “a staffetta” con Alessandro. Ricordo, ad esempio, una mamma che è stata ricoverata per tre mesi, a seguito di una gravidanza trigemellare. Il mio compagno ha curato la mamma, io i suoi piccoli».

    «Come dimenticarla! – commenta Alessandro – È stata una paziente speciale. Per la prima volta mi sono sentito un riferimento. È essenziale vivere questa sensazione, almeno per un periodo, prima di diventare ginecologo a tutti gli effetti. Secondo me, anche da specializzando, occorre confrontarsi con la presa di decisione e con l’urgenza.

    Contestualizzando e modulando il linguaggio sulla base dell’utente, si comprende come ogni paziente sia una storia a sé e come non esista un unico protocollo standard. Negli ultimi sei mesi ho acquisito una maggiore consapevolezza dal punto di vista clinico, della ginecologia e dell’ostetricia, perché da nessuna altra parte si cresce così tanto. Oggi mi sento più preparato al confronto con l’emergenza e con il team di lavoro. A Chiulo non si impara mai da soli!».

    «Il follow-up è importante quanto la degenza, – sottolinea Nicoletta – alcuni bambini, dopo un ricovero di due mesi, sono stati dimessi, ma prima mi sono assicurata che le mamme e i papà avessero compreso l’importanza delle visite di controllo e del trattamento a casa. Fornivo loro indicazioni e, per ricevere un feedback, mi sono inventata qualche piccolo stratagemma. Per esempio, per capire se era stata data la quantità adeguata di latte al figlio che, in un bambino di basso peso è come un farmaco salvavita, regalavo alla mamma un pacchetto di pasta. Ogni volta che allattava, metteva un maccherone in una scatoletta. In modo che io il giorno dopo contavo quanti maccheroni ci fossero. Altrimenti sarebbe stato difficile avere la contezza. E qualche risultato l’ho ottenuto.

    La concezione delle priorità è differente. Tuttavia, non si possono non considerare le preoccupazioni di un genitore. Ad esempio, problematiche intestinali banali rischiavano di aggravarsi, perché la famiglia cercava di risolverle con erbe naturali, che davvero peggioravano la situazione del bambino. Perciò, anche se non si tratta di urgenze, bisogna intervenire subito. Per dare risposte e fare l’interesse del paziente».

    «Mi piacerebbe, in futuro, – conclude Alessandro – contribuire, in maniera attiva e per periodi temporanei, a progetti di cooperazione sanitaria internazionale. Trovo ci sia un’intensità maggiore quando il lavoro è concentrato in un periodo breve. Nel tornare alla realtà quotidiana ci sentiamo molto cresciuti, che ci fa pensare all’Africa come parentesi da rivivere».

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