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Un ospedale alla fine del mondo

Il racconto di Irene Del Rizzo, Jpo in Angola, ci porta nell’ospedale rosso e bianco di Chiulo.

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    Chiulo è alla fine del mondo: me lo avevano detto sì, ma io non avevo capito bene che cosa volessero dire. È proprio così: la strada asfaltata finisce lì, sui gradini della piccola chiesa bianca e gialla. A dire il vero poi la strada continua dietro la chiesa, ma diventa un viottolo di terra rossastra che si inoltra nel mato, nella campagna, che in questi giorni ha cambiato colore dopo l’arrivo della sospirata pioggia, passando dal giallo polveroso al verde-blu smaltato e riempiendosi di suoni tutti nuovi… i gracidii di migliaia di minuscole rane, il frinire insistente dei grilli, le risate e lo sciacquio festoso di piedi grandi e piccoli che sguazzano allegramente, il muggito placido dei buoi. L’acqua, finalmente dopo mesi di arsura: è tornata l’acqua! “Dotora… se vuoi passare dall’altra parte dell’acqua devi camminare come il papero!” mi dicono quattro bambini in una pigra domenica pomeriggio, guardandomi come se fosse la cosa più ovvia del mondo. Io restituisco loro uno sguardo perplesso, a occhi sgranati, e finiamo tutti e cinque a ridere come matti in mezzo all’erba nuova di zecca.

    Qui alla fine del mondo il cielo sgocciola colore al mattino presto, trema di lampi e tuoni al pomeriggio, prende fuoco all’ora del tramonto, si riempie di stelle che ti cadono addosso e ti tolgono il respiro nelle notti più buone.

    Qui alla fine del mondo c’è un ospedale rosso e bianco dove la vita e la morte si incontrano ogni giorno, dove miracoli e tragedie stanno su letti affiancati, dove la notte fa paura e l’alba arriva piena di domande, dove il sole splende impietoso allo stesso modo su chi guarisce e su chi non ce la fa.

    Nell’ospedale rosso e bianco non c’è mai silenzio. Di giorno, di notte, i suoni della vita e della morte riecheggiano in ogni angolo. La vita ha il suono del pianto dei neonati, piccoli per lo più, perché il caro prezzo della malnutrizione valica le generazioni; delle risate dei bambini che quando migliorano, si alzano e saltellano fuori dal reparto con fasciature, gessi, accessi venosi e tutto; del canto dell’acqua che schizza preziosa dalla fontana di fronte alla quale tutti attendono in fila, senza fretta. E la morte? Io non lo sapevo ma anche la morte ha un suono, me lo avevano detto, ma non avevo capito bene finché non ho iniziato a sentirlo. Un pianto a molte voci, acute e gravi, di donne e di uomini, che impari a riconoscere quando lo senti cominciare, a qualunque ora del giorno e della notte, e che ti artiglia l’anima.

    Nell’ospedale rosso e bianco c’è un momento della giornata, verso sera, quando il reparto si calma e le mamme si organizzano per la notte, i bambini si riavvicinano ai loro letti e si accoccolano sotto le zanzariere, gli infermieri si fermano a scambiare due parole…ecco, quel momento lì ha una meraviglia che mi schianta il cuore.

    Niente è semplice, niente scontato. La vita procede per grandi contrasti e scossoni. Lavorare qui fa scontrare con il limite, l’inadeguatezza, la paura. Fa mettere a nudo, fa spogliare dei ruoli e delle convenzioni, fa crollare le aspettative e le costruzioni. Fa infuriare per l’ingiustizia. Fa incontrare persone di rara generosità e lealtà. Fa chiudere la bocca e aprire le orecchie. Fa muovere le mani e il cervello più in fretta. Fa riconsiderare le priorità. Fa chiedere aiuto, perché impari molto presto che da sola non ce la fai. Fa rendere grazie.

    Chiulo mi ha mostrato il suo volto più duro e più bello. Quante sollecitazioni, incontri e scontri, quante lezioni ricevute in questi mesi (e quante ancora da venire!), quante risate, lacrime, sguardi, mani, silenzi, sorrisi… e sta tutto proprio qui, alla fine del mondo!

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