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L’analisi di laboratorio una parte delicata del prendersi cura

La figura del laboratorista e di chi in generale si occupa di diagnostica è sempre più importante anche nei sistemi a risorse limitate e diventa sempre più complessa a mano a mano ci si allontana dai centri urbani. Mauro Fattorini, laboratorista, rientrato dalla Sierra Leone ci racconta la sua esperienza.

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    Mauro Fattorini, laboratorista, rientrato dalla Sierra Leone da più di un mese, dopo aver svolto 4 missioni nel paese di circa un mese ciascuna. Ecco il racconto della sua esperienza.

    “La figura del biologo, del laboratorista e di chi in generale si occupa di diagnostica è sempre più importante anche come componente dei progetti Cuamm. La diagnostica si fa a vari livelli, anche nei sistemi a risorse limitate, nonostante diventi sempre più complessa a mano a mano che dall’area urbana si procede verso le aree più periferiche e remote. L’aspetto clinico-medico è sempre legato all’aspetto diagnostico che consiste in particolare nella laboratoristica.

    Il laboratorio è un ambiente che prevede una gestione delicata e necessita di diverse macchine per funzionare; inoltre a queste macchine deve essere garantita un’adeguata manutenzione. E ancora, sono necessari i reagenti che in un contesto a risorse limitate diventa complesso procurarsi o meglio, si incorre spesso in problemi di speculazione. Le caratteristiche del contesto e le capacità del personale vanno sempre valutate attentamente: è fondamentale capire se ci sono le condizioni e le risorse adeguate per garantire davvero la funzionalità del laboratorio. Dal successo al fallimento il passo è davvero breve.

    L’ultima esperienza in Sierra Leone è stata focalizzata sulla gestione delle blood bank, i centri trasfusionali e di stoccaggio del sangue, e sulla gestione del relativo personale. L’intervento comprende 14 centri in tutti i distretti e si lavora in collaborazione con le autorità locali coerentemente con il programma nazionale. L’obiettivo è duplice: comunicare attivamente con la controparte locale e “fare da collante” fra periferia e centro.

    Una volta il mio ruolo si svolgeva di più all’interno dell’ospedale mentre ora, essendosi allargato l’intervento, abbiamo lavorato “a livello paese”, con una gestione più ampia e complessiva. Il progetto è molto dinamico e per questo anche più impegnativo. Inizialmente è stata fatta una missione di assessment, ossia di valutazione del contesto e sulla base delle rilevazioni sono state organizzate le attività di formazione del personale locale. Una delle formazioni si è svolta a Freetown dove i tecnici sono venuti per fare un corso teorico-pratico dalle aree periferiche ed è stata l’opportunità per mettere in contatto tutti i colleghi. Una seconda parte della formazione, più impegnativa, è stata on the job lavorando a stretto contatto con i tecnici: 5 giorni consecutivi in ogni blood bank.

    L’obiettivo principale della missione era capire se le blood bank fossero in grado di stoccare in maniera adeguata le sacche di sangue che devono essere mantenute ad una temperatura costante di 4-6 gradi. Ma come farlo in un contesto in cui l’energia elettrica viene e va? Abbiamo portato in tutti i distretti delle frigo-emoteche solari e abbiamo insegnato al personale locale come utilizzarle. Alla formazione deve essere affiancato un processo di informazione e sensibilizzazione della popolazione sull’importanza di donare il sangue. Un percorso che richiederà sicuramente tempo poiché comporta un cambio di mentalità e di comportamento.”