Un bagaglio prezioso
La testimonianza di Alessia e Diana dopo tre mesi di formazione a Pujehun, in Sierra Leone, grazie alla Borsa di Studio Michele Mega

«Non avevo mai pensato di lavorare nella cooperazione», confessa Diana Stroea Dida, 22 anni, di Udine. Eppure lo scorso aprile si è ritrovata a Pujehun, nel sud della Sierra Leone, insieme ad Alessia Autuori, 26 anni, di Salerno. Entrambe ostetriche, entrambe vincitrici della Borsa di Studio Michele Mega, istituita nel 2016 da Carolina Mega Cacciavillani in ricordo del padre, prof. Michele Mega. Il progretto consente a studenti e studentesse del corso di laurea in Ostetricia dell’Università di Padova di fare tre mesi di formazione in un paese africano.
«Il primo mese è stato molto duro – racconta Alessia – mi chiedevo: ma chi me lo ha fatto fare? Poi piano piano prendi confidenza, e quello che rimane è una bellissima esperienza non solo a livello professionale, ma soprattutto umano. Mi sento molto cambiata». Un cambiamento che si riflette anche sulla crescita professionale: «Lì non puoi restare spettatrice – continua – ogni persona è una risorsa fondamentale. Ho dovuto imparare ad avere sicurezza, a prendere decisioni e trovare soluzioni rapidamente. È stato un vero esercizio di problem solving».
Diana invece, porta con sé lo spirito di squadra e solidarietà respirato ogni giorno dentro e fuori dalle pareti dell’ospedale:
«Mi ha colpito il modo sincero in cui i colleghi si aiutavano. Ognuno metteva a disposizione le proprie competenze per risolvere i problemi insieme».
Anche se non priva di difficoltà, l’esperienza sul campo ha lasciato tracce profonde. Una soprattutto ha il volto di Musu, una ragazza di 16 anni conosciuta all’ospedale.
«Era arrivata due mesi prima del parto – ricordano – parlava bene inglese e abbiamo fatto subito amicizia. Ci cercava, ci aspettava fuori, veniva a salutarci. Quando eravamo di turno in farmacia veniva da noi. Una volta le abbiamo offerto dei manghi e il giorno dopo ci ha ricambiate con altri, donati dalla madre».
Il legame si è fatto ancora più forte al momento del parto.
«Avrebbe voluto che fossimo accanto a lei, ma ha partorito quando non eravamo di turno. La mattina dopo siamo corse a trovarla: era felicissima di mostrarci il suo bambino». Le due ragazze le hanno regalato un tessuto e una foto insieme: «Si è commossa, non se lo aspettava. Continuava a ripetere: “God bless you”. Avrebbe voluto continuare a sentirci – raccontano – voleva addirittura darci dei soldi per comprare la sim. Non ce la siamo sentite».
Quella di Diana e Alessia è la storia di un’opportunità inattesa che si è trasformata in un bagaglio prezioso: la forza di un lavoro vissuto come collaborazione sincera, dove ciascuno mette in gioco le proprie competenze per costruire cura, solidarietà e impegno.