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Vivere la quotidianità a Tosamaganga

Claudia Mininni, specializzanda in Ginecologia all’Università di Pisa, racconta la sua esperienza come Junior Project Officer a Tosamaganga, in Tanzania.

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    «L’ospedale di Tosamaganga è una grande famiglia. Se in Italia le strutture sanitarie sono dispersive e, spesso, si fatica a fare conoscenza, in Tanzania sono stata accolta con gentilezza e affetto. Dai colleghi ho imparato tanto, non soltanto dai ginecologi e dai pediatri, ma anche da medici di altri reparti. Un’équipe interamente tanzaniana, soltanto con un neurologo europeo, in ospedale due volte a settimana per consulenze specialistiche.

    Sono partita con Margherita, Junior Project Officer come me. Mi ha aiutato trovarmi sul campo e potermi confrontare con una persona al mio pari. Fondamentali il tutor Maziku e il collega Tabita, soprattutto durante la fase di adattamento, durata un paio di mesi, per imparare una nuova lingua e conoscere modalità di lavoro differenti. Integrandomi, ho portato a casa soddisfazioni. I pazienti mi hanno dato fiducia, lo staff mi ha sostenuto e mi sono resa conto di diventare, nel mio piccolo, una figura di riferimento. L’Africa mi ha travolto positivamente!».

    Quello che non si vede…

    «È una paziente speciale: ho seguito una giovane donna in gravidanza gemellare bicoriale biamniotica, che significa che i feti si trovavano in due placente distinte. Uno dei due ha rotto il sacco, però era pretermine, perciò non potevamo fare partorire la futura mamma. Così, settimana dopo settimana, abbiamo monitorato la paziente nella special room. In osservazione quotidianamente: controllavamo i parametri, la sottoponevamo ad ecografie, regolavamo la terapia antibiotica, valutavamo la crescita dei gemelli, il confronto tra pediatri è stato costante. E ne è valsa la pena, come sempre, perché la donna ha partorito spontaneamente una femmina e un maschio che stavano bene. La neomamma, poi, mi ha fatto un dono inaspettato: ha chiamato la bambina Claudia, come me, il bambino Claudi! Non immaginavo che questi due piccoletti potessero vedere la luce, invece, grazie alla cura ininterrotta, alla cooperazione tra team diversificati, ce l’hanno fatta!».

    Quello che non si vede…

    «Come primo percorso professionale in Africa posso tracciare un bilancio estremamente positivo. Grazie all’Università di Pisa, dove studio, ho potuto conoscere ex Jpo che sono partiti prima di me e mi hanno dato la spinta a fare lo stesso. L’aspetto che mi spaventava di più era la barriera linguistica. Ma alla fine ho imparato anche un po’ di swahili, soprattutto, per porre le giuste domande alle pazienti. Già dover gestire un’emergenza in Italia è complesso. In inglese così così, in swahili… oddio! Invece poi, pian piano, ce l’ho fatta.

    Nel reparto maternità dell’ospedale di Tosamaganga avevo due colleghi coetanei, con cui ho stretto un importante legame. Sono stata invitata anche ad un matrimonio, è stata una forte emozione, così come partecipare ad una festa di compleanno del figlio di un medico tanzaniano. Vivere la quotidianità ha reso completa questa esperienza».

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