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Vaccinare a Shinyanga Una storia di successo

Un’auto-ambulanza, tre operatori sanitari, un piccolo frigo e un grande registro di carta. Insieme a tanta voglia di impegnarsi, possono fare molto. È quanto sta succedendo in Tanzania, nella regione di Shinyanga, dove la campagna vaccinale procede a gonfie vele.

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    Procede a gonfie vele la campagna vaccinale nella regione di Shinyanga, in Tanzania. In pochi mesi, da febbraio ad aprile, si è passati dal 4 al 45% di copertura vaccinale a Shinyanga DC e dal 4 al 25% a Shinyanga MC, per un totale di 72.702 persone vaccinate contro il Covi-19, su una popolazione target di 305.522 persone. Un grande successo se si considera che, mentre scriviamo, secondo i dati dell’Oms, la media del paese si attesta al 10,9% di popolazione con una dose e solo il 6,6% con due dosi.

    Un’auto-ambulanza, 3 operatori sanitari, un piccolo frigo e un grande registro di carta. Hanno percorso in lungo e in largo le strade rosse del distretto, portando il vaccino “porta a porta”, vincendo l’esitazione iniziale e la “stranezza” di un vaccino iniettato a degli adulti. Sotto un albero, vicino a grandi massi o a un piccolo centro di salute con mattoni rossi e porte di lamiera, seduti su sedie di plastica o piccole panche. Il frigo-portatile che contiene vaccini appoggiato per terra, il registro sulle ginocchia per annotare chi effettua la prima o la seconda dose. La gente attende il proprio turno, tranquilla e paziente, seduta sulle stuoie, mentre i bambini guardano curiosi una cosa che questa volta non riguarda loro.

    «Andare di villaggio in villaggio, parlare con la gente, spiegare loro l’importanza della vaccinazione e infine, vaccinare. In questo consiste il nostro impegno principale – spiega Edith Kwezi, o come la chiamano tutti, Mama Kwezi, che coordina la campagna vaccinale per il Cuamm –. Non sono mancati i momenti difficili, come nel villaggio di Manyada quando, dopo aver spiegato l’importanza della vaccinazione, il capo villaggio voleva solo il vaccino monodose e noi non avevamo Johnson&Johnson e così lui e tanti altri si sono rifiutati di riceverlo. Oppure quando non avevamo i mezzi disponibili per raggiungere delle persone molte anziane in un villaggio sperduto». E prosegue: «Nei mesi trascorsi, ci sono stati anche momenti che ci hanno dato grande soddisfazione, come quando ci trovavamo nella zona di Itwangi, un’area molto remota, per vaccinare 13 anziani e la loro reazione è stata di una felicità fuori dal comune, hanno ringraziato tanto il Cuamm e il governo per averli raggiunti così vicini a casa e hanno chiesto che questa strategia continui fino a quando tutti gli anziani non riceveranno il vaccino».

     

    E così, dopo aver formato gli attivisti locali e gli operatori sanitari, incontrato partner, coinvolto oltre 400 tra capi villaggio, capi religiosi, guide tradizionali, opinion leader locali; dopo aver aumentato le uscite nei villaggi, rafforzando il lavoro di squadra a ogni livello e incentivando i team per le vaccinazioni, grazie anche alla sensibilizzazione attraverso trasmissioni e spot radio, i risultati si toccano con mano.

    «E’ necessario continuare su questa strada perché la gente inizia a capire quanto pericoloso sia il Covid-19, ma non sa ancora valutare l’efficacia e il valore del vaccino – riprende Edith –. Molti sono ancora dubbiosi e la campagna di sensibilizzazione deve proseguire. Con il lavoro di squadra e l’impegno di tutti si può fare ancora tanto. L’episodio più bello? Una donna, attivista comunitaria, che ci ha portato in otto case (una dopo l’altra, casa per casa) a Nsalala. Spiegava in lingua madre (sukuma) l’importanza dei vaccini e tutti quelli che abbiamo incontrato si sono vaccinati, nessuno si è rifiutato».

     

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