Medici con l'Africa Cuamm

la salute è un diritto,
battersi per il suo rispetto
è un dovere
DONA ORA Il tuo aiuto può fare la differenza

Una chiacchierata che ripara e cura

È ciò che promuove il progetto sulla violenza di genere di Medici con l’Africa Cuamm, entrando con operatrici qualificate nelle comunità e incoraggiando le adolescenti, le donne sole, le persone con disabilità a raccontare le situazioni di violenza che subiscono e a farsi aiutare, grazie ad un supporto psicologico e sociale.

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    Dal distretto di Metuge, nella provincia di Cabo Delgado, a Nord del Mozambico, ha preso avvio il progetto sulla violenza di genere di Medici con l’Africa Cuamm, in seguito ampliato in altri due distretti, Chiure e Montepuez, oggi attivo anche nella città di Pemba. Elisa, psicologa mozambicana del Cuamm, ha visto crescere questo programma, prima come operatrice antiviolenza, poi come supervisore, con il desiderio di arrivare dove l’intervento psicologico e psichiatrico non sembrano priorità, rispetto ai bisogni concreti di sopravvivenza.

    In un centro antiviolenza mozambicano

    «Il mio lavoro consiste nel sostenere il team di operatrici antiviolenza e i tecnici di supporto psicologico e psichiatrico, e nel verificare che la gestione dei casi venga condotta nel miglior modo possibile.

    Con lo scoppio del conflitto, occuparsi anche di sfollati interni è stato molto difficile, perché la componente di supporto psicosociale sembrava astratta rispetto alle necessità pratiche delle persone. Donne e uomini che vengono da contesti differenti, con tradizioni culturali lontane fra loro, etnie diverse, che si trovano a convivere in un contesto forzato; non hanno più una fonte di autosostentamento e devono dipendere dalla distribuzione di cibo e di qualsiasi altro bene non alimentare. All’improvviso hanno perso tutto, dai propri affetti alla propria casa, sono stati testimoni di rapimenti e di uccisioni dei propri cari. Senza dubbio, si tratta di popolazioni estremamente vulnerabili. Vulnerabilità che si aggiunge a vulnerabilità che già c’era, aggravata ulteriormente dalla violenza del conflitto».

    La violenza di genere con lo scoppio della guerra

    «Il dislocamento è già una violenza che le persone subiscono e che porta con sé altre forme di violenza, quella fisica, quella domestica, i matrimoni precoci che provocano l’abbandono della scuola da parte di tante studentesse. All’inizio del dislocamento molti campi non avevano una scuola che garantisse continuità all’istruzione. Per quanto riguarda l’assistenza e i servizi, c’è stata una grande difficoltà nell’accesso ai servizi sanitari di base nel primo periodo, poi con il Cuamm e altre organizzazioni, la situazione è migliorata. Fondamentali anche le attività condotte nelle comunità, porta a porta, le cosiddette “palestras”, chiacchierate in gruppo sul tema della violenza di genere. Le persone sono più propense nel cercare aiuto, sapendo che esistono servizi efficienti».

    L’accesso ai servizi tra paura e resistenza

    «Ci sono diverse barriere che ostacolano la richiesta di aiuto da parte delle donne: le questioni culturali e, di conseguenza, i modelli di genere che relegano la donna in ruoli determinati, allo scopo di farla diventare esclusivamente una buona sposa e una donna di casa. Anche la religione influisce. Poi, sicuramente la dipendenza dal marito, che è economica, abitativa, emotiva, perciò totalizzante. Diventa difficile per le donne, soprattutto in un contesto di sfollamento in cui le reti sociali e familiari si sfaldano, cercare aiuto».

    Storie che restano impresse per sempre

    «Le storie che mi colpiscono di più sono quelle condivise da ragazze che erano state rapite dai gruppi armati non statali e che sono state liberate. Donne che hanno vissuto esperienze estremamente difficili, che condividono con le operatrici e richiedono anche da parte di esse stesse una capacità di gestione delle proprie emozioni. Nonostante tutto questo, comunque queste donne riescono, grazie al supporto delle operatrici, a stare meglio, a riabituarsi vivere, a riprendere la socializzazione familiare. È estremamente impressionante vedere come le persone reagiscano!».

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