Medici con l'Africa Cuamm

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Persone migliori sono medici migliori

Francesco Taliente e Valentina Iacobelli, coppia nella vita e nel lavoro: insieme come Junior Project Officer a Matany, in Uganda.

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    «Parte della mia famiglia – racconta Francesco, specializzando in Chirurgia generale a Roma – è legata all’Africa, perché mio padre è nato in Uganda. Desideravo partire come Junior Project Officer, ma mai avrei immaginato che la mia destinazione fosse proprio l’Uganda, in particolare l’ospedale di Matany. Un segno del destino! Assieme a mia moglie Valentina, specializzanda in Ginecologia, abbiamo sempre pensato che, come medici, un pezzo della nostra vita dovesse essere dove il bisogno di cure è più forte. Allora, siamo partiti con il Cuamm, entrambi nel ruolo di Jpo. Il confronto con culture lontane ci ha fatto crescere come persone. Un uomo e una donna migliori sono anche medici migliori».

    «Condivido pienamente il pensiero di Francesco e aggiungo – spiega Valentina – che mi ha spinto ad andare in Africa la volontà di impegnarmi, nel mio piccolo, per proteggere la salute di genere. L’Africa ha ancora bisogno di una tutela maggiore della salute materno-infantile».

    Quello che non si vede…

    «È una storia a lieto fine, – risponde Valentina – quella di una donna al settimo mese di gravidanza, arrivata all’ospedale di Matany con un disturbo ipertensivo severo, la preeclampsia. Il suo stato di salute si stava compromettendo, si sarebbe compromesso anche quello del feto, allora è stata sottoposta ad un counseling per il cesareo. Inizialmente, il marito era contrario ad intervenire chirurgicamente. Così, dopo un lungo confronto, la famiglia ha compreso che l’operazione sarebbe stata necessaria per il bene di mamma e figlio. È nata una bambina minuta, ma sana, che è stata chiamata Valentina. La mamma mi ha mostrato la carta d’identità della piccola, dove ho letto “Valentina Napeiok”, che in Karamojong significa “straniera, colei che viene da lontano”. Un grande gesto di gratitudine per il mio contributo e un momento di vera integrazione che non dimenticherò».

    Francesco, invece, porta nel cuore il ricordo di una giornata speciale: «Prima di lasciare Matany, abbiamo organizzato una festa in ospedale, invitando tutti i colleghi. Eravamo tantissimi! Tra cui il direttore dell’ospedale e il vicecapo missione dell’Ambasciata italiana a Kampala. Abbiamo preparato il capretto alla brace, un piatto tradizionale sempre gradito. Così, mi sono reso conto della fortuna di essermi trovato in un gruppo di lavoro solido, dove l’integrazione è stata naturale, un team che ha funzionato anche fuori dall’ospedale. È fondamentale, in un contesto rurale, la socialità con colleghi e abitanti, altrimenti si è davvero soli. Questo vale anche per i medici: molti di loro hanno famiglie che vivono lontano da lì, perciò fare squadra, sicuramente, rappresenta un sostegno psicologico, non solo una sicurezza per offrire servizi sanitari efficienti».

    «Non è stato semplice, all’inizio – testimonia Valentina – calcolare la gestazione. Domandavo a tante pazienti quando avessero avuto l’ultima mestruazione per capire tempi ed esami ai quali sottoporle. Raramente ho ricevuto risposte precise. Allora, osservando le infermiere che mi aiutavano come interpreti, ho imparato a chiedere quante volte fossero andate a messa rispetto all’ultimo giorno che avevano visto il sangue. Mi sono resa conto come il concetto di tempo lì non fosse cronologico. In questo modo, riuscivo a risalire al numero di settimane mancanti al parto».

    Quello che non si vede…

    «Abbiamo fatto tesoro del motto “Doctor, first wait”. In Africa bisogna imparare ad aspettare. Tornando a Roma, cercheremo di correre un po’ meno rispetto al passato. È stato magico vedere come i nostri pazienti a Matany ancora vedessero il medico come un uomo, come una donna, non un deus ex machina in grado di risolvere ogni problema in un istante. L’Africa insegna a riflettere, a prendere il giusto tempo per le decisioni importanti».

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