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Ostetriche con l’Africa grazie alla borsa di studio Mega

Lucia Santacatterina ed Elisabetta Valentini, studentesse del corso di laurea in Ostetricia all’Università degli Studi di Padova, hanno trascorso tre mesi di formazione in Etiopia, all’ospedale di Wolisso, grazie alla borsa di studio Michele Mega.

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    Lucia ed Elisabetta, 22 e 25 anni, entrambe con il forte desiderio di conoscere l’Africa. Non ha avuto alcun dubbio Lucia, quando ha partecipato in Università alla presentazione del progetto di borsa di studio Michele Mega, nel candidarsi per l’edizione 2022: «L’ascolto delle testimonianze, i volti e i racconti delle studentesse partite prima di me sono stati la spinta motivazionale. Oggi mi rendo conto che il periodo trascorso sul campo sia stato molto più di un’esperienza, un’opportunità di crescita professionale e umana».

    Per Elisabetta l’Africa è sempre stata la propria meta: «Ho deciso di iscrivermi alla facoltà di Ostetricia, perché il mio sogno è operare in Paesi in via di sviluppo. Vincere la borsa di studio Mega e imparare la professione in un ospedale con risorse limitate è stato un profondo momento di vita con l’Africa. Mi impegnerò, affinché possa ripetersi in futuro!».

    Giovanissime, per Lucia ed Elisabetta si è trattato del primo viaggio in terra d’Africa: una finestra per comprendere come fare cooperazione sanitaria con, vera mission di Medici con l’Africa Cuamm. Gli ostetrici etiopi hanno seguito le studentesse nel loro percorso di tirocinio, donando soddisfazioni e ricordi preziosi. «La gratificazione più grande – per Lucia – è stata quando, alla fine di una lunga giornata, il caposala mi ha detto: “Tu sarai una bravissima ostetrica!”. Queste parole mi hanno riempito il cuore, perché non me le aspettavo».

    Elisabetta, invece, non può dimenticare le relazioni instaurate con le pazienti: «Mi sono sentita gratificata in tanti piccoli istanti, quando riuscivo ad essere “casa” per una futura mamma. A volte, per rassicurare una donna in travaglio, basta uno sguardo. Gli occhi parlano e accolgono: “Sono qui con te adesso”, sussurravano i miei. Con una paziente, in particolare, è stato emozionante creare un rapporto durante un parto difficoltoso, poi, ritrovarla dopo tanto tempo, per puro caso, con il suo bambino in salute. Si è fermata per salutarmi, mi ha ringraziato. È stata la prova che, anche se ci si incontra per poco, l’esperienza che si condivide è intensa e si conserva per sempre».

    Il maggiore ostacolo per Lucia ed Elisabetta è stato lavorare in un contesto con risorse limitate, dove l’impotenza si vive spesso: «Anche se ero consapevole a cosa andassi incontro – spiega Lucia – trovarmi in un ospedale dove i bambini muoiono da un momento all’altro mi ha davvero provato».

    Il dolore si elabora anche grazie al supporto dei colleghi, con cui possono nascere amicizie. Con i sanitari, si scambiano opinioni, si affinano competenze, si confrontano culture. «Ho conosciuto un’infermiera etiope, che mi ha invitata a casa sua. La mamma ha preparato il pranzo e, come tutte le mamme del mondo, era preoccupata che non mangiassi abbastanza. Io sono vegetariana. Allora, nelle famiglie etiopi, quando si ha un ospite, si offre il capretto, una prelibatezza. La mamma della mia collega si è dovuta reinventare ed è stata bravissima nel cucinare piatti veggy! In un’altra occasione, per andare insieme in una chiesa ortodossa, l’amica mi ha prestato un abito tradizionale, è stato particolarmente significativo per me».

    «Abbiamo vissuto in una guest house – racconta Elisabetta – assieme agli specializzandi in medicina, gli Junior Project Officers, con cui abbiamo fatto squadra. Da qui, sono passate tante persone interessanti, come un informatico senza frontiere, progettisti, medici. Un melting pot davvero costruttivo!».

    E il futuro? Lucia ed Elisabetta ora sono impegnate nella scrittura della tesi, dedicata proprio all’esperienza vissuta a Wolisso. «Dopo la laurea, mi piacerebbe fare il Servizio civile universale con il Cuamm, prima di trovare lavoro», conclude Lucia. «Prima di tornare in Africa – esprime Elisabetta – vorrei approfondire la mia formazione, facendo pratica in ospedali italiani, per poi vivere sul campo e offrire un bagaglio di conoscenza clinica completo!».