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Tutte le mamme che ho incontrato

In occasione della Festa della Mamma abbiamo chiesto a Chiara Conti, desk Uganda, di raccontarci delle tante mamme che ha incontrato. A tutte loro, che in Africa, in Italia e in ogni angolo del mondo, continuano ad amare e prendersi cura dei loro cari, il nostro augurio per la loro festa.

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    «Mamme. Quante ne ho viste in Africa negli oltre dieci anni in cui ho vissuto lì. Tantissime, ognuna diversa e tutte simili, accomunate da un profondissimo senso di resilienza. È una parola spesso abusata, ma questa è la prima parola che associo al termine mamma. Mamma in Africa significa davvero “capacità di affrontare difficoltà e superare ostacoli; capacità di assorbire un urto senza rompersi”. Resilienza».

    «Ho incontrato due tipi di mamme. Quelle che abitano nell’Africa rurale, nei villaggi, chine sui campi a zappare quella poca terra rossa che abitano, con un bimbo sulle spalla, uno in grembo, e gli altri tutti attorno. E ci sono le mamme che sono riuscite a studiare, vivono nelle città, hanno una carriera e spesso hanno dovuto lasciare i figli per cercare lavoro, magari in un altro paese». Chiara Conti con il marito e i 3 figli ha vissuto in Uganda, Angola, Etiopia, Mozambico e Tanzania. Oggi si occupa dei progetti del Cuamm in Uganda. In occasione della Festa della Mamma le abbiamo chiesto di raccontarci delle tante mamme che ha incontrato nei suoi anni africani.

    «Alle donne che vivono nell’Africa rurale è interamente affidato il carico della gestione dei figli, della casa, degli anziani, il loro è un ruolo domestico. La loro giornata comincia presto, spesso alle prime luci del giorno. Le vedi partire per riempire le taniche di acqua necessarie per la giornata e per raccogliere la legna necessaria per accendere il fuoco per cucinare. Danno da mangiare alle galline, se ne hanno, preparano quel poco di cibo per la colazione e per il pasto che danno ai bambini, prima che si incamminino, anche essi molto presto, per andare a scuola a piedi, magari a 1 ora di distanza. Controllano che abbiano la divisa in ordine, le scarpe (da indossare solo a scuola per non consumarle), il quaderno. E poi, lavano i panni a mano, con l’acqua recuperata dal pozzo, zappano la terra, se hanno la fortuna di averne, accompagnano i bambini più piccoli a fare le vaccinazioni. Se hanno qualche cibo raccolto, vanno al mercato a venderlo».

    «Chi, invece, può studiare e ha un lavoro in città, sta lontana dai figli per lunghi mesi e li affida ai parenti o li mette nei collegi. Sono scelte obbligate che ci sembrano così lontane dal nostro quotidiano, dettate dalla necessità di mantenere la famiglia».

    Il valore di una donna, in Africa, si misura in base ai figli. Donna è mamma e, se a 20/25 anni non hai ancora figli, sei stigmatizzata. In Uganda la media è di 5,6 figli per donna. In Italia siamo a 1,25. Eppure sono felici. «Ne ho viste tante di mamme e di donne felici, nonostante la loro esistenza sia molto dura e faticosa – riprende Chiara –. La loro ricchezza e la loro forza sta nei figli. Se riescono a vivere, a mantenerli, a nutrirli, a farli cresce, a farli studiare, sono una garanzia per il futuro. Figli che vengono cresciuti insieme alla comunità e ad altre mamme. È grandissimo il senso di comunità e condivisione. Nell’assoluta povertà e mancanza, si condivide. Le donne, insieme, preparano i pasti, insieme coltivano, insieme sgranano i chicchi di qualche pianta e condividono la giornata, la gestione dei figli, del bestiame. Se una ha bisogno di andare in ospedale con un figlio malato, affida gli altri alla vicina. La vita è condivisa, con semplicità». E conclude Chiara: «Hanno un modo molto diverso di accudire e crescere i figli, di certo meno “morboso” e protettivo del nostro, cercano di renderli più autonomi possibile perché sappiano affrontare da soli la vita. Eppure sono capaci di profonda tenerezza, attenzione e tanto amore».

     

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