Medici con l'Africa Cuamm

la salute è un diritto,
battersi per il suo rispetto
è un dovere
DONA ORA Il tuo aiuto può fare la differenza

Nella piccola oncologia pediatrica di Bangui

Nel Complesso pediatrico di Bangui si ricoverano, ogni anno, oltre 15.000 bambini. Alcuni di questi sono malati oncologici. Per loro le cure sono pochissime, spesso solo palliative. Qualcuno ce la fa. Tutti lasciano un segno in chi se ne prende cura.

Condividi con i tuoi amici:

    È solo una stanza all’interno dell’ospedale. Ha pochi letti, sette in tutto. Ma c’è. E questo è già tanto in un paese come il Centrafrica. È l’unità oncologia del Complesso pediatrico di Bangui. Qui vengono accolti e seguiti i bambini colpiti dal cancro. Almeno quelli che ci arrivano in ospedale. Anche se, troppo spesso, con diagnosi atroci. Troppo tardi per essere curati. «Ho lavorato solo 2 mesi nel piccolo “reparto” di oncologia pediatrica di Bangui, ma quei bambini, senza speranze, o meglio, appesi a un filo sottilissimo, hanno trafitto il mio cuore». Ha la voce rotta e lo sguardo che pensa, Veronica Capelli, specializzanda, Jpo Cuamm, quando ci racconta la sua esperienza.

    «Quello che si può fare, in un contesto come il Centrafrica, sono solo cure palliative. Prince ha 15 anni. È arrivato con un sospetto di osteo-sarcoma, gli abbiamo amputato la gamba, ma non sappiamo davvero cosa fosse. Non c’è la possibilità di fare diagnosi. A Junior, 8 anni, è stato asportato un occhio, per un retino-blastoma, era l’unica cosa da fare di fronte a un quadro così incerto. La buona notizia è che questi tre bambini, dopo 1 anno e mezzo, sono ancora vivi. Di più non ci è dato di sapere».

    In Africa ti scontri quotidianamente con il limite. L’empatia e la com-passione si mescolano alla frustrazione di non poter fare nulla, nella maggioranza dei casi. L’unica cosa da fare è accettare, è esserci. Come racconta Veronica: «Rachida era una bimba di 9 anni. Aveva una massa addominale, non meglio specificata. Le avevo promesso che sarei rimasta sempre vicino a lei, anche durante l’operazione. Ed è stata una gioia immensa quando, in sala post-operatoria, ha domandato di me al papà e ha chiesto che mantenessi la promessa di rimanerle accanto. Lewa è stata fortunata, il suo non era tumore».

    «Nel 2016, quando il Cuamm ha dato il via all’intervento a Bangui, non esisteva questo piccolo reparto. I bambini oncologici erano ricoverati insieme agli altri della Pediatria – afferma Donata Galloni, medico Cuamm da poco rientrata dalla Repubblica Centrafricana –. Nel 2020, dopo la riabilitazione ad opera del Bambin Gesù, un pediatra locale è stato mandato in Francia per specializzarsi in oncologia pediatrica, grazie al sostegno dell’associazione GFAOP (Gruppo franco-africano di oncologia pediatrica) che continua ad appoggiare le spese dell’unità. Sono stati 122 i bambini ricoverati nel 2022. Le diagnosi che vengono fatte sono molto limitate, non ci sono gli strumenti per diagnosticare tutti i tumori. Paragonati ai 15.000 ricoveri all’anno di tutto l’ospedale, sono davvero una goccia. Quello che è evidente è che la patologia oncologica, insieme alle malattie croniche, sta aumentando molto in Africa, ma richiede competenze diagnostiche e terapeutiche che non ci sono».

    Ma a ben guardare, sono stati fatti piccoli passi in avanti, qualcosa si sta seminando, insieme ai medici e agli infermieri locali che portano avanti il lavoro. «In Africa tocchi con mano che la medicina non è solo guarire, ma è anche curare. Che c’è una dignità nel morire senza dolore. A Bangui, non sono abituati a usare la morfina per alleviare il dolore, non perché manchi, ma perché non ce l’hanno come cultura. Uno dei momenti che ricordo con più soddisfazione è quando ho fatto un po’ di formazione agli infermieri proprio sulla terapia del dolore. C’era un bambino, ormai stava morendo, era alle ultime ore di vita, quando avevo terminato il mio turno quella sera e l’ho lasciato alle cure di Marina, l’infermiera locale. La mattina successiva, alle 6.30, sono arrivata in ospedale e Marina, mi dice, con un lieve sorriso: “è morto, ma senza dolore”. Avevano usato la morfina. Almeno lui, se ne era andato dormendo», conclude Veronica Capelli.

    Argomenti: Luoghi: