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La perla più preziosa: la mamma

Dopo 6 mesi trascorsi nella più grande maternità del paese, il Princess Christian Maternity Hospital di Freetown, Serena Crisci torna entusiasta e felice della sua esperienza dove ha potuto fare la sua parte per la salute di quella che è considerata la perla più preziosa della società: la mamma.

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    «Fatu Bangura”, è questo il mio nome in Sierra Leone. Serena è troppo difficile da pronunciare per loro. Bangura è un cognome molto diffuso, ma Fatu ha un significato speciale, vuol dire “persona che deve essere amata”».  Ed è proprio così che si è sentita Serena Crisci, amata e accolta. Originaria di Caserta, 30 anni, è da poco rientrata dalla Sierra Leone dove ha prestato servizio per 6 mesi come Jpo Cuamm. Si sta specializzando in Anestesia e Rianimazione presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore a Brescia ed è tornata entusiasta e felice dell’esperienza appena vissuta.

    «Ci tornerei anche domani. Ho detto al mio primario che oggi sarei stata assente e che venendo qui a Padova avrei cercato un biglietto per tornare a Freetown subito – racconta Serena –. Non ho mai pensato “chi me l’ha fatto fare”. La cosa più bella è stata l’ospedale in cui ho lavorato: il Princess Christian Maternity Hospital (PCHM) di Freetown. Un punto nascite che nel 2022 ha effettuato oltre 7.500 parti, un riferimento in una capitale con circa 1 milione e mezzo di abitanti. Questa battaglia è un qualcosa di assolutamente concreto e meraviglioso: ogni giorno c’è un morning meeting in cui vengono presentati i casi delle ultime 24h ore e in cui si cerca di capire, tutti insieme, come gestire al meglio i casi più delicati. Lo si fa concentrando le energie al di là dei problemi propri di paesi a risorse limitate, dei farmaci che non arrivano, dell’assenza di acqua corrente, dell’energia elettrica che saltuariamente manca. Lo si fa con lo scopo di tutelare la perla più preziosa della società sierraleonese: la mamma. Questo rende bene la misura del privilegio che si ha a lavorare con questo genere di pazienti».

    E prosegue: «È di certo complicato ritrovarsi ad affrontare problematiche gravi, soprattutto infrastrutturali, ma con chiari risvolti sulla cura dei pazienti, dato che negli ospedali italiani non siamo abituati a farlo. Allo stesso tempo è sicuramente stimolante perché si ha poco tempo e poche risorse per ingegnarsi a trovare delle soluzioni efficaci. Il lavoro che il Cuamm svolge è di supporto a tutti i livelli, da quello medico, sanitario e infermieristico a quello amministrativo senza dimenticare la componente della formazione. Quello che ho sperimentato è che il Cuamm riesce a supportare, sia a livello teorico che pratico, molte attività, soprattutto per le donne in gravidanza, in un contesto dove il limite tra essere mamma e figlia è molto sottile considerate le fasce d’età. È un attività costante, fatta di piccole azioni portate avanti ogni giorno. E in Sierra Leone sta funzionando. Quello che si può fare è continuare in questo instancabile sostegno, spalla a spalla, non aspettandosi un cambiamento repentino, ma un costante miglioramento, che è il sogno di tutti quelli che ci credono».

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