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In ricordo di Mons. Luigi Bettazzi

A pochi giorni dalla scomparsa di mons. Luigi Bettazzi, i ricordi viaggiano e nella lunga linea della storia del Cuamm arrivano fino al 1988, quando durante una conferenza molto affollata, nel salone di via San Francesco, pronunciò parole forti e ancora molto attuali.

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    Un “vescovo di prossimità”, un autentico messaggero di pace, un uomo che ha dato molto e insegnato a vivere il Vangelo in modo autentico. Nella lunga storia del Cuamm, mons. Luigi Bettazzi, già presidente di Pax Christi, ha lasciato un ricordo indelebile. Persona stimata dal direttore storico, don Luigi Mazzucato, il 22 ottobre 1988 tenne una conferenza, o come si chiamavano un tempo, una “Giornata di studio”, nella sede del Cuamm. 145 persone, per lo più medici e infermieri, ascoltarono la sua lectio sulla “Sollecitudo rei socialis”, l’enciclica di Giovanni Paolo II, a vent’anni dalla “Populorum progressio” di Paolo VI.

    Parole che ancora oggi sono di grande attualità.

    “Parlare di pace oggi, nel più lungo periodo di “non guerra” vissuto nella storia sembrerebbe un controsenso, tuttavia la pace non è solo “assenza di guerra”, ma anche un impegno concreto di solidarietà”. Queste le parole riportate su Cuamm Notizie (rivista del Cuamm) per raccontare l’incontro.

    “Le nazioni più ricche e più sviluppate devono convertire (girare a 180°) la loro estenuante corsa verso un esasperato sviluppo a spese del resto del mondo condannato a divenire sempre più povero e dipendente – affermava allora mons. Bettazzi –. La grande minaccia per il mondo di domani non sarà rappresentata solo da una guerra atomica, ma dalla divaricazione crescente tra i popoli ricchi e i popoli poveri, tra il Nord e il Sud del mondo. Il primo passo deve essere fatto da noi cristiani perché se tale enciclica viene depositata nel cassetto della scrivania, e non nel nostro cuore, tutto resterà vano e continueremo a “colpevolizzare” le nazioni di questa situazione. Noi viviamo nel mondo! E se cambiamo la nostra mentalità un po’ alla volta anche quella del mondo cambierà”.

     

     

    Un impegno che il Cuamm cerca, umilmente, di rendere concreto e reale, ogni giorno nella cura dei più poveri in Africa, inseguendo, ciascuno a suo modo, quello che il card. Matteo Zuppi, nel messaggio inviato in occasione del funerale di mons. Bettazzi, dice che era il sogno del vescovo di Ivrea:

    “Era libero perché amava Dio e la Chiesa. Cercava il dialogo non perché ambiguo, facile, ma proprio perché convinto della propria identità, senza ossessioni difensive che vedono il nemico dove non c’è e non lo riconoscono dove, invece, si annida. Ascoltava per rispondere e non parlare sopra. Comunicava la gioia di essere cristiano e annunciava la chiamata a tutti ad esserlo. Amabile, instancabile, gentile ma per niente affettato, scomodo, ironico, colto senza mai essere supponente, parlava della Chiesa e dei poveri perché la Chiesa è di tutti, ma specialmente dei poveri e perché “le ansie e gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla Vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore”. Lui non ha smesso di sognare. «Il mio “sogno” è che ogni cristiano si renda conto della sua vocazione “missionaria”. Fin dagli anni Sessanta ha scommesso sui laici, «non secondo i propri interessi, ma secondo l’interesse dell’intero cosmo per contribuire non solo a mantenerlo in essere…ma anche a svilupparlo nell’interesse comune». Sì, ha chiesto a tutti noi, tutti, opportune et inopportune, di «essere discepolo che dà gioia», convinto che «il regno di Dio è l’umanità come Dio la vuole»”.

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