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Dalla Tanzania, la forza di uscirne insieme

Il racconto di Gaetano Azzimonti, coordinatore dei progetti Cuamm a Iringa in Tanzania, colpita da una nuova ondata di Covid-19. «Ci siamo ritrovati velocemente ad avere tutta la medicina piena di Covid e tutti pazienti gravissimi, con bisogno estremo d’ossigeno».

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    La voce di Gaetano Azzimonti dalla Tanzania arriva ferma, quasi a dover fare da argine al carico delle ultime settimane.

    Gaetano, avete vissuto momenti molto difficili…

    Abbiamo rischiato di essere travolti da una slavina che non ci aspettavamo. La variante Delta ha assunto delle caratteristiche che non conoscevamo, in termini di contagiosità e di mortalità, entrambe molto elevate. Altro aspetto davvero critico è l’interessamento dei giovani. Tra loro purtroppo anche due giovani donne incinta che sono morte con i loro bambini, raro da vedersi in occidente. Fortunatamente altre due mamme ce l’hanno fatta.

    Come avete reagito?

    Per prima cosa devo dire che i nostri medici, le nostre risorse umane sono state encomiabili e lo sono tuttora. Un conto è lavorare in un contesto in cui tutto è più o meno perfetto, in termini di protezione e dotazioni, qui invece siamo molto più esposti perché il sistema sanitario ha tutte le fragilità che conosciamo. Tutti, dai medici cooperanti, agli specializzandi, agli studenti, sono stati davvero in prima linea. E in qualche modo questo ha fatto da traino e da catalizzatore della risposta dei colleghi locali. Ci siamo messi a disposizione, con tutti i nostri limiti e per come siamo capaci: dico “per come siamo capaci” perché l’aspetto più lacerante, ma anche più educativo, è l’esperienza del limite, che in Africa viviamo sempre, ma che in questo caso è veramente clamoroso.

    Il tutto in una situazione di contesto esterno molto particolare…

    Questo paese ha vissuto una situazione davvero anomala in termini di risposta, sensibilizzazione, informazione, e in generale di presa di coscienza di ciò che era l’epidemia. Fino a pochi mesi fa quasi si banalizzava quello che stava succedendo nel mondo, era come se si trattasse di una cosa che non riguardava il paese, che si considerava quasi preservato, immune. Questo ha pesato tanto anche sul personale locale: è difficile trovare una risposta da parte del personale i cui leader fino a ieri hanno negato l’esistenza del virus e oggi cambiano posizione. Ancor più la gente è molto confusa.

    Si è trattato di mettere in campo uno sforzo organizzativo notevole…

    A partire dai reparti, per ricavare nuovi spazi dove ospitare i malati, fino alla gestione del personale. L’ospedale e le autorità ci hanno chiesto aiuto per organizzare la risposta, anche sul piano dell’equipaggiamento e dei farmaci. Su questo il Cuamm da Padova è intervenuto prontamente mobilizzando delle risorse aggiuntive che sono state preziosissime. L’aspetto più straziante è vedere morire la gente di fame d’aria. Vedi che le persone cercano l’ossigeno e non lo trovano. Quindi moltiplicare le fonti di ossigeno, acquistando concentratori ma anche ossigeno puro, in cilindri, è stato e continua ad essere essenziale. Di questo vorrei ringraziare chi ha contribuito dall’Italia e chiedere di continuare a sostenere questo sforzo. Avevamo uno stock di materiale di protezione e farmaci, ma ci siamo ritrovati, non dico da un giorno all’altro, ma nel giro di uno spazio temporale brevissimo ad avere tutta la medicina piena di Covid, solo di Covid: su 120 posti letto, 90 ricoveri Covid, e tutti pazienti gravissimi, con bisogno estremo d’ossigeno, cosa che ci ha messo in grave difficoltà. Il Cuamm non si è adoperato solo per Tosamaganga, ma sta sostenendo anche l’ospedale regionale di Iringa che ha subito in misura anche maggiore l’onda d’urto proprio perché è la struttura di riferimento della regione. L’ospedale ci ha chiesto aiuto e abbiamo donato 50 cilindri di ossigeno nuovo e tutto il sistema di collegamento, i cavi e i tubi, tutto quello che è necessario per un ossigeno-terapia efficace, oltre a una grande quantità di farmaci. In questi giorni c’è un lievissimo rallentamento del numero di ingressi. Quello che è certo è che non ne usciremo presto.

    Anche per le difficoltà della campagna vaccinale?

    Sì, è partita molto lentamente, non solo perché abbiamo a disposizione pochi vaccini ma anche perché c’è molta resistenza alla vaccinazione. La popolazione ha subito pesantemente l’ondata della controinformazione della fase politica precedente ed ora è molto confusa. Circolano molte fake news, tra le principali che il vaccino provoca sterilità e soprattutto che l’Africa ha ricevuto vaccini scadenti rispetto a quelli che si usano in occidente. Per cui accanto all’assistenza clinica stiamo cercando di fare un lavoro dedicato di sensibilizzazione, soprattutto a partire dallo staff dell’ospedale. Sarà un lavoro molto lungo.

    L’immagine più dolorosa di questi giorni?

    Gli occhi sbarrati delle persone che chiedono l’aria, di chi non ha la possibilità di respirare: è dolorosissimo, soprattutto quando si tratta di giovani. Gli occhi imploranti di queste persone continuano ad accompagnarmi a ogni passo.

    E invece, un’immagine di speranza?

    Mi dà speranza l’abnegazione dei nostri medici, che non hanno perso un secondo della loro giornata per mettersi a disposizione. Questo mi ha sostenuto molto. E poi l’idea che non è solo nelle nostre mani, noi intanto le mettiamo a disposizione, poi confidiamo in qualcosa di più grande, sono convinto che ne verremo fuori.

    Hai mai avuto paura per te e per la tua famiglia?

    È stato più difficile quando non eravamo vaccinati, perché vivendo in un contesto in cui nessuno usa delle misure di protezione siamo stati veramente esposti. Non ho avuto paura ma qualche volta mi sono chiesto fino a che punto dovevamo esporci. Siamo rimasti, ma questa è un po’ la mia vita, sono passato per situazioni difficili, anche peggiori, ci affidiamo, tutti i giorni e questa è la nostra speranza.

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