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La sfida di diventare grandi in Sud Sudan

«Quando hanno raggiunto l’ospedale, la mamma era stanchissima, ma non si è mai lamentata. Aveva portato con sé Bidal e il fratellino di appena qualche mese di vita. Era molto preoccupata per la salute di suo figlio». Il verdetto era chiaro: kwashiorkor (malnutrizione) e bisognava intervenire tempestivamente. In ciascuno degli ospedali in cui il Cuamm opera, ci sono sempre più Bidal che arrivano con una malnutrizione, soprattutto a causa di questa grave crisi globale che sta colpendo così duramente l’Africa.

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    La storia di Bidal è uguale a quella della maggior parte dei bambini sotto ai 5 anni che arrivano in ospedale ogni giorno, a raccontarla è Elena Gelormino, impegnata in attività di sanità pubblica con il Cuamm in Sud Sudan: «Quando hanno raggiunto l’ospedale, la mamma era stanchissima, ma non si è mai lamentata. Aveva portato con sé Bidal e il fratellino di appena qualche mese di vita. Era molto preoccupata per la salute di suo figlio». Fino a qualche mese fa Bidal stava bene, cresceva in salute. La mamma racconta che ha imparato velocemente a gattonare e poi a camminare. È sempre stato pieno di energie e passava le giornate a giocare con i fratelli. Per un po’ di tempo è stato il piccolo della famiglia e la mamma lo allattava al seno. Un giorno qualcosa è cambiato, tutti hanno iniziato a dirgli che era diventato grande e che doveva mangiare “la polenta degli adulti”, ma lui non ne voleva sapere, rifiutava ogni cosa che non fosse il latte e più insistevano e più Bidal correva a cercare l’abbraccio della mamma. Fino a che, un pomeriggio, è arrivato un fratellino, molto più piccolo di lui. Per Bidal è stata una sorpresa inaspettata, non che non fosse felice, ma non era più al centro dell’attenzione e la mamma ora dava al piccolo il suo latte tiepido e buono. E voleva che Bidal imparasse a mangiare da solo, lo aiutava con le mani, perché lui capisse come portarlo alla bocca. Ma lui non ne voleva sapere di quella roba fredda e insipida. Così ha iniziato ad avere sempre più fame, ad essere sempre più triste e i suoi piedini non erano più forti e veloci, ma deboli e gonfi. Fino a che, un giorno, la mamma ha preso lui e il fratellino e ha camminato per ore verso l’ospedale di Lui, in cerca di aiuto, era molto in ansia per la salute di Bidal, come racconta: «Quando il medico gli ha messo un braccialetto rosso attorno al braccio, ha fatto una faccia preoccupata. Io l’ho guardato in cerca di una risposta. “È kwashiorkor (malnutrizione), ha detto, toccando i piedini, ha bisogno di proteine”. Bidal è stato preso in carico dallo staff del Cuamm e ha cominciato a mangiare la pasta di noccioline ipernutriente e, un giorno dopo l’altro, ha iniziato a stare meglio».

    Quando viene meno l’allattamento al seno che copre tutti i fabbisogni alimentari del neonato nei primi mesi di vita può insorgere questa situazione, soprattutto in Africa, dove la dieta che integra il latte materno, è spesso inadeguata, povera in proteine e calorie. Ad aggravare una situazione già fragile, c’è la crisi internazionale che ha fatto innalzare i prezzi dei prodotti e per le famiglie, non solo quelle povere, diventa sempre più difficile riuscire ad alimentarsi in modo corretto. A pagare le conseguenze più dure sono proprio i bambini che spesso, prima di aver compiuto 5 anni, perdono la vita a causa della malnutrizione. Una speranza resta accesa nei nostri cuori ed è portata avanti, non solo da chi decide di partire per l’Africa, ma anche da chi sceglie di scrivere un finale diverso alla storia di Bidal, attraverso un gesto piccolo ma fondamentale come una donazione, che può supportare il nostro lavoro a fianco di mamme e bambini.

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    (foto di: Francesco Pistilli)

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