In classe contro taboo e stigma
Una lezione senza cattedra, fatta per ascoltare e mettere in dialogo. A Beira, studenti e studentesse si lasciano andare ad una confessione per svelare ciò che spesso non si dice sull’Hiv.

Gli aspetti clinici delle malattie infettive non sono un mistero per giovani studenti e studentesse di medicina, ma cosa succede quando false credenze e misinformazione finiscono per influenzare anche loro con ripercussioni sulla vita di tutti i giorni? All’università di Beira, raccolti in aula da Francesco Segala – infettivologo Cuamm, studenti e studentesse si sono lasciati andare ad un dialogo sincero e costruttivo che li ha aiutati a riconoscere taboo e stigma sull’Hiv e a costruire una consapevolezza comune.
«È importantissimo parlare di questo perché lo stigma finisce per compromettere gli aspetti sociali della vita di ognuno, con gravi ripercussioni sulla salute mentale di chi vive con il virus – spiega Francesco che prosegue -. Ho iniziato condividendo la mia esperienza, e ammettendo che, senza davvero rendermene conto, io stesso sono stato a lungo influenzato dallo stigma. È una verità che un test Hiv fa più paura di un emocromo, ma perché?»
Il Mozambico è uno dei paesi che registra il più alto numero di persone che vivono con l’Hiv. Secondo i dati Unaids (2025) si tratterebbe di 2,4 milioni di persone di cui 2 milioni in terapia antiretrovirale.
«Conoscere il proprio stato sierologico è fondamentale per poter convivere con il virus ed evitare contagi. Quella antiretrovirale è una terapia semplice che prevede l’assunzione di una pillola al giorno. Tanto basta per riuscire, nel tempo e con costanza, ad azzerare la carica virale».
Eppure la paura del virus è reale, soprattutto tra i giovani. Francesco l’ha affrontata in un’aula universitaria creando uno spazio sicuro per i suoi studenti e le sue studentesse.
«La classe conosceva l’Hiv da un punto di vista clinico, lo avevano affrontato a lezione – spiega Francesco -. Non avevano bisogno che io gli spiegassi come si trasmette il virus o come funziona la terapia. Quello che speravo di fare, e che insieme siamo riusciti a realizzare, era un momento di confronto, quasi di confessione, che ci permettesse di vedere che lo stigma è proprio lì, in mezzo a noi, ma che possiamo superarlo insieme creando una consapevolezza comune».
A Beira da novembre, All’Università Cattolica del Mozambico Francesco ricopre il ruolo di coordinatore dei rapporti tra Cuamm e l’ateneo. Nei mesi scorsi, su richiesta della direzione pedagogica dell’Ucm, ha preso lui in carico il blocco di malattie infettive, trovandosi in aula con gli studenti e le studentesse del terzo anno e supportandoli in qualità di tutor.
Un’occasione per capire come funziona la struttura didattica, come si definiscono le attività pratiche, ma anche e soprattutto per mettersi in relazione con gli studenti e le studentesse.
«Noi tutor e professori abbiamo il dovere di coltivare in loro un senso di responsabilità che sarà fondamentale nella professione medica – dice Francesco -. È davvero una gioia quando capisci di esserci riuscito».
Francesco ci è riuscito davvero, nel suo piccolo. Lo ha capito qualche settimana fa quando è riuscito a coinvolgere la sua classe in un dibattito aperto sul tema dello stigma legato all’Hiv. Un confronto aperto, qualcosa di più simile ad una confessione che non ad una lezione universitaria. Un momento di scambio sincero, senza giudizi né paure, pensato per accompagnare questi futuri professionisti sanitari nella costruzione di una coscienza collettiva sul tema.
«Questi studenti e queste studentesse percepiscono la scelta della medicina come una responsabilità sociale, e l’ambiente universitario, l’Ucm, li accompagna in un percorso di crescita che è sì professionale ma anche personale. Un domani non saranno solo i medici e le mediche del paese, ma cittadini e cittadine consapevoli, membri attivi della loro comunità».