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Non c’è salute senza salute mentale

Attività di prevenzione e trattamento dell’Hiv ma anche attivazione di servizi dedicati alla salute mentale, in particolare di giovani e adolescenti. È stato possibile grazie al progetto “Conoscere per curare” realizzato a Beira, in Mozambico.

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    «Prima ero spaventata e triste, non sapevo come gestire le mie emozioni, come condividere quello che mi stava succedendo e i miei pensieri. Poi, quando ci siamo raccontati in gruppo quello che stavamo passando, ho capito di non essere sola e che qualcuno stava provando e vivendo le mie stesse cose. Mi sono sentita ascoltata, capita». Una condivisione di esperienze, emozioni, sentimenti emerge chiaramente dalle parole dei giovani coinvolti nel progetto triennale “Conoscere per curare” realizzato a Beira, in Mozambico, da Cuamm e Università di Padova con il sostegno dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo.

    L’intervento è partito nel 2021 con il principale obiettivo di valutare l’impatto del Covid- 19 nei giovani con Hiv tra i 18 e i 24 anni di età. È stato effettuato uno studio di sieroprevalenza presso 7 Saaj, i consultori per i giovani, e monitorato l’accesso ai servizi prima, durante e dopo la pandemia attraverso sei indicatori: numero di visite ambulatoriali, test effettuati e rapporto di positività all’Hiv, percentuale di persone non aderenti alla terapia antiretrovirale, percentuale di chiamate di richiamo (buscas) e di ritorno al trattamento. Nonostante un calo iniziale, il numero di visite ambulatoriali e di test Hiv nel periodo post-pandemico ha mostrato una tendenza paragonabile a quella precedente alla pandemia. Si è registrata una media di 1.487 visite e 419 test Hiv al mese. Inoltre, anche durante l’emergenza, le telefonate e le visite a domicilio si sono dimostrate efficaci nel riportare al trattamento il 79,2% dei pazienti che lo avevano abbandonato.

    Nell’ambito del progetto, oltre al supporto e al rafforzamento delle attività di prevenzione e trattamento dell’Hiv, sono stati attivati anche dei servizi dedicati alla salute mentale e al supporto del disagio psichico legato alla condizione di sieropositività ma anche a condizioni più generali. 315 adolescenti e giovani tra i 15 e i 24 anni, sia Hiv + che Hiv-, sono stati divisi in 30 gruppi e coinvolti in incontri settimanali di sensibilizzazione sulla salute mentale, in particolare attraverso la tecnica dello psicodramma, per condividere i propri pensieri e le proprie esperienze, migliorare la propria consapevolezza sulla tematica e le competenze socio-emotive al fine di promuovere il benessere mentale e psicologico e di ridurre lo stigma.

    “È stata un’esperienza di grande responsabilità e complessità ma anche molto stimolante e gratificante, soprattutto vedere l’impatto dei servizi sulla comunità, sugli operatori e sui giovani coinvolti – aggiunge Roberto -. Nonostante le difficoltà, ho sempre percepito una grande forza e voglia di mettersi in gioco per cambiare la propria condizione”. Uno stimolo in più per continuare l’impegno in quest’ambito a fianco delle comunità. Perché non c’è salute senza salute mentale.

    Angoli di Ascolto diffusi: il valore della salute mentale

    “Non siamo abituati ad ascoltare, ad ascoltarci. A volte le persone ci giudicano senza rendersi conto della causa che ci spinge a comportarci in un determinato modo. Ho imparato che è importante essere attenti all’altro. Non si può essere d’aiuto senza ascoltarsi” ha affermato una giovane partecipante del gruppo.

    “Anche il solo aver avuto uno spazio e un’opportunità per raccontare la propria storia è stato trasformativo di per sé. Sentire di avere una voce, un valore, riconoscersi nelle parole e nelle esperienze degli altri ha creato una fortissima connessione tra di loro”, spiega Chiara Malesani, neuropsichiatra che ha seguito le attività con i giovani.

    Da questo spazio di condivisione e confronto, sono emersi vissuti incredibili, storie di disagio e vulnerabilità che hanno reso ancora più evidente il bisogno di migliorare la consapevolezza rispetto alla salute mentale, sensibilizzando sull’importanza di prendersi cura della propria interiorità ed emotività e promuovendo servizi di supporto.  “Questa parte dell’intervento è stata davvero sfidante, soprattutto perché si tratta di una tematica poco nota e discussa in quel contesto – racconta Roberto Benoni, capo progetto a Beira –. Ricordo che durante i focus groups con i ragazzi sono state utilizzate delle vignette per illustrare diverse tematiche come ad esempio la violenza domestica e di genere e il suicidio”.

    Secondo dati 2019 dell’Organizzazione mondiale della sanità, il Mozambico ha uno dei tassi di suicidio più elevati in Africa e nel mondo, pari a 13.6 su 100.000 persone. Non numeri ma persone che dicono di un bisogno a cui questo intervento ha cercato di dare una prima risposta.

    A livello delle unità sanitarie, i servizi di psicologia sono stati potenziati introducendo un registro per migliorare la raccolta dei dati relativi ai pazienti e per fornire uno strumento di monitoraggio clinico, e garantendo visite di follow-up. In particolare, in due servizi di psicologia, sono stati formati quattro community health workers, operatori di comunità, per sensibilizzare la comunità sulla salute mentale e per effettuare le chiamate di lembrete (promemoria) per aumentare l’adesione alle consulenze di psicologia.

    Una parte dell’intervento poi è stata dedicata all’avvio e gestione dei cantinhos de escuta, “angoli di ascolto”, luoghi ad accesso libero situati in punti strategici (mercati, sedi di quartiere, ecc.) dove le persone che ne avevano bisogno potevano recarsi per parlare dei loro problemi psicologici e sociali trovando dall’altro lato attivisti formati all’ascolto empatico e attivo. “Sono stato contento di sapere che le autorità locali hanno deciso di dare continuità al servizio dei cantinhos, riconoscendo il valore e l’utilità che questo servizio ha per la comunità” afferma Roberto. Presso i cantinhos si è svolta un’attività di screening della salute mentale e coloro che sono risultati positivi sono stati indirizzati alle unità sanitarie e richiamati dopo 15 giorni per verificare se fossero andati alla visita. Tra settembre e dicembre 2023, 458 persone sono state sottoposte a screening e 174, il 38%, sono risultate positive. Tra i positivi, 94 non si sono recati alle visite, adducendo come motivazioni più frequenti la paura del giudizio, la mancanza di tempo, l’impossibilità di trovare uno psicologo vicino. Questo mostra come ci sia ancora molto lavoro da fare per combattere lo stigma e far prendere coscienza dell’importanza di prendersi cura di sé.