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Si è concluso il corso dedicato alle “Cure neonatali nei Paesi a risorse limitate”, realizzato dal Cuamm insieme con la Società italiana di Neonatologia. Le voci entusiaste di formatori e partecipanti.

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    Che cosa ti porti a casa dalle lezioni? A rispondere sono i partecipanti al corso dedicato alle “Cure neonatali nei Paesi a risorse limitate”, realizzato dal Cuamm insieme con il Gruppo di Studio “Cure neonatali nei Paesi a basse risorse” della Società italiana di Neonatologia. La seconda edizione di un programma di approfondimento, organizzato a Padova, che ha ottenuto particolare successo: 46 gli iscritti, tra specializzandi e specialisti in Pediatria, infermieri ed ostetriche, interessati a crescere nel mondo della cooperazione, seguendo l’esempio di professionisti di grande esperienza, che hanno tenuto le tre giornate di formazione.

    Tra i docenti, Jenny Bua, neonatologa all’ospedale materno-infantile Burlo Garofolo di Trieste: «Anche noi portiamo a casa molto! Per me è stato stimolante ascoltare le presentazioni e le domande dei giovani. Perché la loro energia passa anche a me! Cito un pensiero del collega Paolo Ernesto Villani: “Abbiamo ricevuto tanto e siamo nella condizione di dovere, in qualche modo, restituire”. Sono convinta che corsi come questo siano le occasioni migliori per condividere le nostre conoscenze con i medici di domani. Persone entusiaste, che desiderano impegnarsi in questa missione, sono da sostenere. Una delle loro preoccupazioni è questa: “Come fai con poco?”. Ho provato a rispondere con due, tre consigli: entrare in punta di piedi nel contesto e coinvolgere sempre il personale locale, perché noi siamo soltanto parentesi nella quotidianità dell’ospedale. Dobbiamo cercare di seminare e lasciare che i frutti crescano con i loro tempi, rispettando i ritmi e le esigenze dei colleghi africani. L’idea dell’empowerment dei sanitari del posto è fondamentale. Poi, provare, anche con fantasia, ad usare al massimo le risorse che si hanno. E lavorare sulle cure essenziali al neonato, che producono un impatto enorme sulla mortalità neonatale, ancora troppo diffusa in Africa. Infine, imparare. Perché la verità è che pensiamo di andare ad insegnare, ma in realtà impariamo di più di quello che lasciamo! Un po’ come è accaduto, in piccolo, durante questo corso, appena concluso».

    Tra gli iscritti, invece, Alessia Bertolino, specializzanda in Chirurgia pediatrica all’Università degli Studi di Padova, partita per l’Etiopia grazie al Wolisso project e volontaria attiva del gruppo Piemonte del Cuamm: «Ogni occasione di formazione con il Cuamm è una fonte di ispirazione. Che cosa mi porto a casa? Di sicuro, aumenta la mia voglia di partire come Junior Project Officer! In alcune delle testimonianze presentate in questi giorni, soprattutto del ciclo “Mamma, parto per l’Africa”, ho apprezzato la capacità di problem solving che si sviluppa grazie ad esperienze professionali in contesti fragili. Tutto ciò mi stimola a non pensare in grande, ma semplicemente a capire che cosa si ha a disposizione e provare a trovare una soluzione con poco. Una parola, poi, che mi resta e su cui ho proprio bisogno di riflettere è essenzialità della cura».

    Andrea Querzani, specializzando in Pediatria all’Università degli Studi di Pavia, grazie al corso, ha scoperto il programma Jpo: «Da quando ho iniziato Medicina, ho sempre pensato che l’Africa sarebbe stata una delle mie destinazioni. Vorrei mettermi in gioco e capire quale contributo offrire. Credo lo si debba fare nel modo più giusto sia dal punto di vista di non andare impreparati, sia dal punto di vista di integrarsi nella maniera corretta. Grazie al corso, oggi ho una maggiore consapevolezza. Prima avevo un’idea vaga, adesso ho ascoltato testimonianze, visto foto, conosciuto medici che hanno condiviso i casi belli e i casi brutti che hanno incontrato. Un elemento importante per sapere cosa mi aspetta».

     

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