Che cosa mi piace del Servizio Civile Universale
La voce di Elena Piccinini, biologa partita da Milano per Dar es Salaam, in Tanzania, perché la vita è l’arte dell’incontro.
«La vita è l’arte dell’incontro! Che cosa mi piace del Servizio Civile Universale? Sono tante le attività alle quali mi sto dedicando. Innanzi tutto, mi appassiona la relazione con tante persone diverse sia a livello lavorativo, sia al di fuori, a cominciare dagli operatori della cooperazione, con grande esperienza alle spalle, che mi aiutano a capire come funziona questo mondo, quante sfumature esistono nello stesso ruolo; ma soprattutto, grazie al loro vissuto, posso dare un’altra interpretazione a quello che provo in questo contesto africano, tanzaniano, in particolare. Il confronto è importante, quando ci si trova in un ambiente nuovo.
Sono biologa con pratica professionale in oncologia e ricerca sulle malattie infettive. Il mio ruolo qui è di assistente al Rappresentante Paese. La nostra base è Dar es Salaam, una città grande e caotica, ma che offre un ventaglio di possibilità. Mi rapporto quotidianamente con i nostri stakeholders, con persone con cui collaboriamo nei vari progetti. Questo mi responsabilizza e mi fa capire che anche io posso fare qualcosa. Ho competenze che mi permettono di impegnarmi in quest’ambito e di contribuire all’implementazione degli interventi.
Ho la possibilità di imparare una professione non soltanto alla scrivania, ma anche di vivere esperienze arricchenti al di fuori dell’ufficio, facendo pratica, rendendomi conto di che cosa la funzione di amministrativa può offrire nel concreto. Ho visitato, infatti, Bariadi e Shinyanga, località nel Nord della Tanzania, dove il Cuamm promuove programmi contro malnutrizione e Hiv. Ho partecipato ai Village Health and Nutrition Days, ossia a giornate di sensibilizzazione sulla malnutrizione e screening dei bambini malnutriti, con una componente di Early childhood development. Ho avuto, poi, l’opportunità di prendere parte ad attività di sensibilizzazione sull’Hiv ed altre malattie sessualmente trasmissibili, in una scuola primaria a Shinyanga.
L’impatto con Dar es Salaam, senza dubbio, è differente rispetto al contesto rurale africano. Qui si può andare al cinema, fare un po’ di tutto. Quello che è importante, secondo me, è cercare di trovare un equilibrio tra i momenti di condivisione e i piccoli spazi per sé, proprio per poter elaborare quello che si scopre. In Tanzania esistono tante tribù e tradizioni antiche. Nonostante le caratteristiche eterogenee, culturali e religiose, questi gruppi etnici riescono a trovare un equilibrio, che balza all’occhio. Si danno sempre una mano nei momenti di difficoltà: ad esempio, si rompe il “bajaji”, il mezzo di trasporto locale. Il conducente si ferma, scende e con il sorriso cerca qualcuno che lo aiuti. La sua tranquillità deriva dal fatto che sa che, sicuro, qualcuno arriverà! Mi ha colpito positivamente come i Tanzaniani affrontano i problemi. Sento pronunciare, spesso, “Amna shida”, che significa “Nessun problema”, perché anche quando si trovano in una situazione di difficoltà, c’è sempre la speranza che tutto si risolva.
Agli aspiranti civilisti dico: se avete il dubbio se fare o meno il Servizio Civile… fatelo, fatelo, fatelo! Per 1000 ragioni. Un’esperienza che cambia la vita, che ha dato una bella spinta alle mie idee per il futuro. Sono a metà del mio percorso di SCU, ho ancora tante cose da esplorare e non vedo l’ora di farlo!».