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Agata Miselli e Luca Brasili medici da Tosamaganga, Tanzania

La testimonianza di Agata Miselli e Luca Brasili a Tosamaganga Tanzania

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    Agata & Luca: Noi siamo venuti qui nel 2017, con il progetto JPO del CUAMM. Non ci conoscevamo, abbiamo scelto entrambi di fare il corso per poter accedere a questa esperienza, avere questa possibilità e la fortuna ha voluto che partissimo insieme. Siamo venuti proprio qui a Tosamaganga e niente ci siamo incontrati in aereo praticamente. I nostri sei mesi sono stati combaciati in tutto e per tutto, dalla partenza e praticamente anche il ritorno. Era la prima volta, sia in un ospedale africano che in Africa in generale, quindi è stata un’esperienza conoscitiva e sperimentale. È andata bene, perché grazie a questa esperienza e al fatto che ho incontrato Luca, ho deciso che non mi bastava l’esperimento. È diventata per noi un obiettivo di vita professionale quello di guarire i pazienti qui. Non è equiparabile il diritto alla salute in Italia rispetto al diritto alla salute in Tanzania oggi. Durante il Covid-19, combattere per il diritto alla salute voleva dire riuscire a mantenere in piedi dei servizi che potessero servire tutti i tipi di pazienti, mamme e bambini e adulti. E per mantenere questo servizio dobbiamo evitare il collasso dell’ospedale e per evitare il collasso dell’ospedale dobbiamo evitare che tutti noi operatori ci ammalassimo insieme, quindi il nostro obiettivo è stato soprattutto di cercare di preservare la nostra salute consapevoli di cosa succede al di là delle barriere fisiche dell’ospedale. Sapevamo che il nostro intervento non avrebbe potuto incidere sulla diffusione di un’eventuale pandemia in Tanzania, dove dovevamo preservare l’ospedale di Tosamaganga.

    Abbiamo pensato tanto di tornare a casa, anche solo per empatia verso i nostri colleghi e le nostre famiglie, ci siamo sentiti chiamati da un certo punto di vista e ci siamo interrogati ma cosa facciamo qui? Lasciare però il paese in un momento di una potenziale ulteriore crisi della salute della popolazione va contro il nostro principio di giudizio, per cui siamo venuti. Poi siamo medici, un medico che va via durante una pandemia, per rispetto dei pazienti e soprattutto dei colleghi, non si fa. In queste circostanze non si può giudicare le scelte degli operatori, c’è chi decide di tornare, chi di ripartire, chi di rimanere, sono decisioni difficili, ma ognuno ha la propria storia. Secondo me però, per quanto ci riguarda, non c’è stato mai una una vera volontà, proprio piena di tornare. Se oggi siamo qua, per quanto mi riguarda, è merito di Luca, per me lui è stato professionalmente e personalmente il mio coraggio. Mi ha dato il coraggio che mi mancava per provare a fare quello che avrei voluto fare. Ovviamente questa cosa è reciproca. Siamo venuti qui e ci siamo innamorati e innamorati dell’Africa, queste due cose sono venute insieme. Poi chissà, magari torniamo, ritorniamo, di progetti ce ne sono.