Emergenza a Gambella: l’Etiopia accoglie nuovi sfollati dal Sud Sudan
L’escalation di violenza che negli ultimi mesi ha minacciato la già fragile condizione del Sud Sudan, ha provocato nuovi sfollamenti verso l’Etiopia e un aumento dei bisogni umanitari, inclusi quelli sanitari. Tra le priorità: servizi nutrizionali e cure materne.

Negli ultimi mesi, migliaia di civili provenienti dal Sud Sudan, principalmente donne e bambini, hanno attraversato il confine etiope in cerca di riparo e salvezza. Si parla di circa 50.000 sfollati accolti nella regione sud-occidentale di Gambella dove già prima che iniziassero gli scontri in Upper Nile, si contavano 430.000 rifugiati.
«La situazione è critica: l’Etiopia è uno dei paesi africani che ospita il maggior numero di rifugiati, con la regione di Gambella che da tempo accoglie la quota più consistente. Oggi però la crisi assume proporzioni ancora più allarmanti a causa dell’alto tasso di inflazione nel paese e dei recenti tagli agli aiuti umanitari. Nel frattempo, i bisogni della popolazione rifugiata crescono a dismisura e le stesse comunità ospitanti riversano in una condizione di estrema vulnerabilità» ha dichiarato Daniel Frehun, responsabile di Area a Gambella.
La forte instabilità interna nella zona di confine, ha infatti recentemente costretto alla fuga anche la comunità ospitante. Al flusso di rifugiati sud sudanesi si è aggiunto lo sfollamento di oltre 15.000 persone costrette a spostarsi internamente, verso la zona Nuer, nelle città di Matar e Moun, nel distretto di Wantawo.
Mentre diminuiscono le risorse disponibili per rispondere in modo efficace ai bisogni della popolazione rifugiata e della comunità ospitante, la crisi in corso aggrava la pressione sui servizi locali, già limitati e insufficienti, mettendo in luce l’urgente bisogno di una riposta coordinata e tempestiva.
«Da un punto di vista sanitario i bisogni più urgenti sono quelli di donne e bambini, che rappresentano la maggioranza della popolazione rifugiata – ha detto Daniel Frehun, Responsabile di Area. Le persone in movimento faticano ad avere un pasto al giorno. Se pensiamo ai bambini, e alle donne incinte o in allattamento questo ha un serio impatto sulla loro salute. Dobbiamo garantire cure pre-natali, screening nutrizionali e terapie. E poi non possiamo dimenticare le malattie stagionali come la malaria, per la quale questi gruppi vulnerabili non hanno mezzi di protezione, e il colera che con la stagione delle piogge si sta già diffondendo all’interno dei campi».
In collaborazione con l’ufficio sanitario distrettuale e in coordinamento con i partner presenti sul territorio, abbiamo deciso di avviare un intervento di emergenza proprio nella zona Nuer, attraverso il sostegno a due strutture fondamentali: il centro di salute di Matar e l’ospedale di primo livello di Nyinenyang.
«Si tratta di due strutture estremamente importanti per l’erogazione di servizi sanitari nella zona – ha detto Daniel. Il centro di salute di Matar è un punto di riferimento che oggi, a causa della chiusura di posti di salute afferenti, si trova a dover gestire un flusso di pazienti ancora maggiore con le stesse, limitate, risorse. L’ospedale di Nyinenyang invece, fatica a lavorare come un vero ospedale e al momento funge più da punto di riferimento verso l’ospedale primario di Gambella, compromettendo la capacità di gestione dei casi e tardando l’accesso tempestivo alle cure per i pazienti».
Nei prossimi mesi, il nostro impegno si concentrerà su due obiettivi principali: da un lato offrire un sostegno immediato alle comunità ospitanti e ai rifugiati, dall’altro rafforzare la capacità del sistema sanitario locale. Per farlo, abbiamo previsto una serie di azioni concrete: rafforzare i servizi sanitari locali attraverso supporto tecnico e logistico all’ufficio sanitario distrettuale, così da garantire cure di qualità e accesso equo ai servizi di base; promuovere la prevenzione con attività di sensibilizzazione e screening sanitario e nutrizionale rivolti sia alle comunità ospitanti che ai rifugiati; portare cure salvavita e supporto nutrizionale dove c’è più bisogno attraverso il lavoro di cliniche mobili.
Questi interventi hanno un duplice obiettivo: aiutare le famiglie sfollate a superare la fase di emergenza e accompagnarle verso il ritorno nelle proprie case e a una vita più stabile e sicura e rafforzare il sistema sanitario locale per garantire servizi adeguati.
L’Etiopia è uno dei paesi del continente africano che oggi accoglie il maggior numero di rifugiati, provenienti principalmente da Sudan, Sud Sudan, Somalia ed Eritrea. La maggior parte vive in 24 campi rifugiati allestiti in cinque diverse regioni del paese. Tra queste, è Gambella quella che ne ospita il maggior numero. Come Cuamm lavoriamo nella regione già dal 2016 offrendo supporto a comunità ospitanti e popolazione rifugiata. Il nostro lavoro si concentra nei due principali ospedali: l’ospedale primario di Gambella e l’ospedale generale. In aggiunta, supportiamo 7 centri sanitari periferici mentre abbiamo finora lavorato in appoggio a 5 strutture interne ai campi rifugiati di Tierkidi, Jewi e Nguenyyiel per offrire servizi medici di base.
«L’Etiopia sta affrontando numerose crisi — tra cui conflitti, disastri naturali ricorrenti come le inondazioni, grave insicurezza alimentare ed epidemie. Mentre la risposta all’emergenza si rende necessaria per intervenire tempestivamente, adottare una strategia a lungo-termine è indispensabile per garantire efficacia e sostenibilità. Dobbiamo quindi integrare i due approcci ed è quello che come Cuamm facciamo, è il nostro stile» ha dichiarato Daniel.