Centododici passi
Non solo Ebola: il grido di angoscia del dr. Paolo Setti Carraro, chirurgo Cuamm, al lavoro nell’ospedale di Pujehun in Sierra Leone
Centododici passi. Ho voluto contarli questa mattina, andando in ospedale, con passo disteso, il sole già caldo sul viso, una pioggerella fresca che per contrasto mi spruzzava i capelli e gli occhiali.
Centododici passi. Poco più di un minuto di strada. Lucia è arrivata da otto giorni, in coma, gonfia d’acqua, pallida come un cencio, una bambina scura di pelle, ma quasi candida di anemia. Ci sono voluti due giorni per rimetterla in sesto. Una notte di Chiara a controllare che il sangue che scendeva nelle sue vene, tremila gocce in dieci ore, contate una per una, non la facessero soffocare nella sua acqua. Che urinasse, che si risvegliasse. La malaria l’ha fatta tremare di febbre per molte ore, andava spugnata di continuo per raffreddarla, per evitare nuove convulsioni.
Centododici passi, la distanza dalla nostra casa al suo letto. Nutrita col sondino per due giorni, poi il risveglio. Il primo cibo mangiato da sola, ma ancora gravemente anemica. Partiva da due di emoglobina, era salita a cinque. Altre tremila gocce di sangue, altre ore a sorvegliare i suoi polmoni ed il suo cuore. Ora era più attiva, cominciava ad alzarsi da sola, ad uscire dal letto. Le caviglie ancora gonfie, ma l’ossigenazione buona. Una botta di vita. Poi di nuovo la febbre, acuta, improvvisa. Coi brividi. Lo striscio: ancora malaria. La prima linea ha fallito, è tempo di passare al chinino. Un’altra notte di Chiara a controllare lo zucchero nel sangue, sempre giù, sempre più giù. Non serviva a nulla lo zucchero o il latte dal sondino, acqua fresca. Servivano boli di glucosata, in continuo. Sette dosi di diuretico in due giorni, il respiro affannoso, la saturazione d’ossigeno altalenante.
Centododici passi, i miei e quelli che Chiara copriva sempre più spesso. Finalmente sta bene, ha ricominciato a mangiare, si muove con lentezza, è rognosa, ma viva. Due giorni di pausa, un sospiro di sollievo. Una giornata di sole che ci fa pensare che la stagione delle grandi piogge stia volgendo alla fine. E che il suo calvario sia terminato. L’abbiamo lasciata ieri notte ben dopo le undici, un poco irrequieta. Qualche rumore polmonare umido, l’ulteriore dose di diuretico prima del sonno. Alle due si risveglia affannata. Comincia ad agitarsi nel letto, irrequieta. Ha urinato pochissimo. Si mette seduta.
Centododici passi. Nessuna copertura di rete. Il temporale si è scatenato a mezzanotte ed ora i telefoni sono fuori uso. Il respiro si fa più pesante, lei non riesce a restare sdraiata. Comincia una tosse stizzosa, il respiro è più laborioso. Nessuna copertura di rete. C’è chi toglie e rimette la batteria, chi accende e spegne forsennatamente il telefono, chi rimuove la SIM. A volte funziona. Fuori un silenzio di tomba. Ha smesso di piovere, la notte è buia e silenziosa. Anche i cani randagi dormono il loro sonno affamato. Qualche pipistrello si avvolge in spire sotto un lampione. Il buio fa paura. Forse per via di quella ragazza aggredita all’angolo un anno fa, forse paure ancestrali e racconti che si perdono nelle notti dei bambini. Il respiro si fa gorgogliante. Brave! Ora viene aspirata e sta un po’ meglio. Rimosse le secrezioni dalla bocca, sembra respirare più tranquilla. Ma la saturazione d’ossigeno è ancora bassa. Nessuna copertura di rete.
Centododici passi tra il suo letto ed il mazzo di chiavi che accende la macchina dell’ossigeno. Ora Lucia respira con tutti i suoi muscoli, del torace, dell’addome, del collo, delle spalle. Uno sforzo immane, ma ancora ce la fa. Nessuna copertura di rete.
Centododici passi, poco più di un minuto di strada. La schiuma sale alle labbra, al naso, è rossastra. La bocca è stirata, cianotica, le narici alitano, il respiro sempre più frequente e rumoroso.
Centododici passi tra il suo letto e l’ordine di una fiala di diuretico. Nessuna copertura di rete. Poco più di un minuto di strada. Ma il guardiano è là, a pochi passi da voi. Quel guardiano che vi rinserra ogni notte nel vostro castello, sprangato per proteggervi da intrusi malintenzionati. Lucia si esaurisce, si addormenta, cessa lentamente di respirare. Un ultimo fiotto di schiuma rosata ed il suo cuore si ferma. Nessuna copertura di rete.
Centododici passi. La distanza enorme tra la vita e la morte. Il guardiano era là. Potevate mandarlo a chiamarci. Non ci abbiamo pensato. Africa! Quante Lucie dovranno ancora morire prima che la tua gente si liberi dalla schiavitù dell’inerzia?