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Storie di formazione

Beatrice Tagliabue, infermiera, è tornata da Lui, in Sud Sudan, dove ha svolto un tirocinio per completare il percorso di formazione universitaria.

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    «Mi chiamo Beatrice, ho 25 anni e sono un’infermiera, originaria di Bologna. Sono entrata nel mondo Cuamm nel 2021, grazie al corso “Cooperare per la salute in Africa”, che ho seguito a Padova, offerto dall’organizzazione. Dopo la laurea, il master all’Università di Bologna in “Cooperazione internazionale e inclusione educativa” mi ha portato a fare uno stage per concludere il percorso. Così, ho scelto di partire con il Cuamm per un tirocinio di tre mesi all’ospedale di Lui, in Sud Sudan. Grazie all’esperienza sul campo, ho potuto migliorare le mie competenze professionali, ma anche capire in concreto che cosa fosse il mondo della cooperazione sanitaria internazionale.

    Il lavoro clinico si è svolto, soprattutto, nei reparti di Medicina, Chirurgia e Pediatria, accanto allo staff locale, con un approccio iniziale di osservazione e di ascolto. Successivamente, acquisendo fiducia reciproca, si è cominciato a lavorare insieme su diverse tematiche, in un rapporto di reciproco scambio. Le maggiori soddisfazioni sono arrivate alla fine della missione, quando ho ricevuto una sorta di restituzione da parte dei colleghi, che mi hanno salutata affettuosamente: “Speriamo che, in futuro, tu possa tornare. Perché sono ancora tante le cose che vorremmo insegnarti e, allo stesso tempo, che vorremmo imparare da te!”, mi hanno detto.

    A Lui sono entrata in contatto anche con le studentesse di Ostetricia, che svolgevano il tirocinio in ospedale. La formazione, soprattutto la formazione in Ostetricia, ha permesso a queste giovani donne di conoscersi, di studiare il corpo femminile, di avere maggiore consapevolezza di sé. In un dialogo avuto con loro in cui si è toccato il tema educazione e diritti di genere, mi dissero: “La mancanza di educazione porta a non avere voce; se si aumentasse il grado di istruzione potremmo avere più voce su noi stesse, avere la possibilità di alzarci in piedi ed intervenire. Gli health worker possono fare il loro meglio per sensibilizzare sulla tematica femminile, ma senza un supporto politico forte e formazione è difficile che la donna possa avere voce al pari dell’uomo. Io ho scelto di diventare ostetrica per la mia comunità, in cui mancano ostetriche e, una volta formata, mi piacerebbe tornare e poter portare il mio supporto nella mia comunità di origine”.

    In questa realtà rurale, lontana dalla città, mi sono resa conto di quanto le persone siano esposte alla vita. Da noi siamo protetti, esiste un sistema sanitario strutturato, ma in tanti Paesi del mondo non è così. A volte respiravo questa essenza di fragilità, che poi dà anche forza, perché permette di vivere a pieno il presente, ma è simbolo della fragilità umana».

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