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Per insegnare bisogna emozionare

La voce di Filippo Pistolesi, pediatra, partito con il Cuamm, oggi formatore al corso “Cooperare per la salute in Africa”, che si è appena concluso a Padova.

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    «Impariamo ciò che ci emoziona! Impariamo ciò che ci fa paura, per una forma di difesa, ma anche ciò che ci dà immenso piacere. Per questo, durante le lezioni che offro al corso base, provo a condividere anche le mie emozioni con i partecipanti. Curo un piccolo modulo, dedicato alla medicina tradizionale, un tema che ho osservato ed approfondito, quando sono stato Junior Project Officer in Pediatria al Complexe di Bangui, in Repubblica Centrafricana. Come mi rivedo in quei ragazzi che ascoltano attenti! Fotografie, aneddoti, storie di pazienti mi aiutano a raccontare la mia professione e il mondo della cooperazione sanitaria.

    Questa mattina, ad esempio, ho parlato di Giulia. Una bambina di Chiulo, ricoverata per una drepanocitosi, patologia diffusissima in Cunene. Giulia è arrivata in ospedale accompagnata dalla mamma… e dal fratellino, raccolto sulla schiena della giovane donna. Sono trascorsi quattro anni da quel giorno. E io sono tornato a Chiulo una seconda volta, proprio di recente. Ho visitato un bambino con sintomi che erano stati attribuiti ad una polmonite. Poi, osservando meglio la mamma che lo aveva portato, mi sono ricordato di quegli occhi! Era la mamma di Giulia, la bambina che avevo curato. Trattandosi di una malattia genetica, abbiamo scoperto che ne soffriva anche il secondo figlio, oggi non più in fasce. I bambini crescono, ma si riconoscono. Forse perché emozionano!

    Il bello del corso base è che la teoria si mescola alla pratica: ogni formatore ha toccato con mano quello di cui parla e conosce bene il contesto africano. Insegnare per me è un’occasione per rivivere le esperienze, unirle a quelle dei colleghi per colorare una tela che possa essere vista dai partenti!

    Mi porto a casa tante delle loro domande, poste anche nei momenti di pausa. Quando la timidezza viene meno, prima c’è un avvicinamento fisico, poi scatta il contatto verbale. Mi chiedono: “Come è stato il rientro? Adesso che cosa fai?”. Curiosità sulla clinica, timori. Al corso abbiamo introdotto una parte che vede l’intervento, in remoto, di Jpo sul campo in quel momento. Il confronto diretto è fondamentale: così, nascono spontaneamente gli interrogativi più intimi.

    Oggi sono in un periodo in stand-by dall’Africa, ma spero presto di ripartire, credo sempre per Chiulo. Sto lavorando nella mia città come pediatra, ma anche come insegnante. Ho una cattedra di anatomia e di fisiologia a scuola, un impegno che apprezzo per conciliare la clinica al passaggio di conoscenze».

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