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Una bambina serissima

Questa storia nasce dall’incontro con una bambina ricoverata al Complesso Ospedaliero Universitario Pediatrico di Bangui. A raccontarla è Grazia Ombrosi, infermiera Cuamm che ogni giorno si prende cura dei suoi piccoli pazienti.

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    Questa storia nasce dall’incontro con una bambina ricoverata al Complesso Ospedaliero Universitario Pediatrico di Bangui, in Repubblica Centrafricana. A raccontarla è Grazia Ombrosi, infermiera Cuamm che ogni giorno si prende cura dei suoi piccoli pazienti: «Sono tornata in questo ospedale dopo due anni per una nuova missione con il Cuamm. Nel luglio 2018 infatti, il Cuamm, su invito di Papa Francesco, ha iniziato a supportare la direzione di questo grande ospedale pediatrico nella gestione delle sue risorse umane e non solo. Non un ospedale dell’ultimo miglio, come più frequentemente accade ai Medici CON l’Africa, ma un grande ospedale, con circa 300 bambini ricoverati, dai prematuri sotto al chilogrammo ai ragazzini di 16 anni non ancora compiuti, pieno di studenti universitari di medicina, infermieristica ed altre facoltà del settore socio-sanitario. Quello di Bangui è l’unico ospedale pediatrico in Repubblica Centrafricana. Con i suoi maestosi alberi di mango, di papaya e con i colori degli indimenticabili tramonti sul grande fiume Oubangui, che definisce il confine tra la Repubblica Centrafricana e il Congo, la natura è davvero meravigliosa e ipnotizzante. Ma qui si vive nel terrore da oltre quindici anni, dal 2004 per la precisione, con l’inizio della prima guerra civile centrafricana, culminata nel 2013 con i sanguinosi scontri tra Seleka e Balaka. Ora le cose sono più o meno sotto controllo. Le innumerevoli milizie, con i diversi colori delle loro divise, disegnano la fotografia di quanti Stati stiano cercando di accaparrarsi il controllo di questa ricchissima terra, pur mantenendo, almeno qui in capitale, l’ordine delle cose. Il coprifuoco, quello vero, non per il COVID, ma per il rischio di beccarsi una “balle perdue” (un proiettile volante) o un “braquage”(una rapina) con furto dell’auto, scatta alle 21. Questa è Bangui e dall’interno del Complesso Ospedaliero, circondato da diversi cancelli posti per limitare gli ingressi dei familiari (e le uscite di qualsiasi tipo di materiale sanitario), il brulicare di vita e il caos della città restano fuori. Qui il lavoro inizia alle sette del mattino per noi. Per “noi” non è difficile rispettare l’orario di arrivo, visto che siamo dotati di auto di servizio. Molto più complicato è per i nostri colleghi, infermieri, cleaner, medici. Qui il trasporto è folle. Cinque, ma anche sei persone, soprattutto se si tratta di bimbi, salgono su moto-taxi agghindate a dovere per distinguersi l’una dall’altra e farsi notare per essere fermate al volo. L’alternativa sono dei piccoli bus, colmi di gente fin sopra il tetto. La tariffa minima è bassa, 500 xefa ogni corsa, oltre 20.000 xefa al mese. Troppi soldi, soprattutto per un cleaner che guadagna 60.000 xefa (meno di 100 euro) nell’intero mese e che deve prendersi cura di almeno 4 figli propri e spesso di altrettanti “adottati”, perché orfani di qualche fratello o sorella. Per risparmiare, gli africani, percorrono chilometri a piedi e arrivano al lavoro non puntuali. Quando poi riescono ad arrivare, sono già stanchi. All’interno del Complesso Ospedaliero esiste una buona organizzazione e divisione tra reparti: quattro unità di medicina (tre per le diverse fasce di età dei piccoli e una per i problemi legati alla malnutrizione); un’unità di chirurgia (con il suo blocco operatorio e la “salle de reveille” per il postoperatorio); la neonatologia (con le due sale, una con le piccole incubatrici, l’altra debordante di piccole culle con a fianco una scomoda sedia per la mamma, o la sorella o la nonna, perché troppo spesso le donne muoiono durante il parto); le due sale di cure intensive (subintensive, perché qui i bambini non si intubano, i respiratori automatici e i relativi monitor necessari non ci sono, né verrebbero mantenuti funzionanti se fossero acquistati). Sempre sovraffollati i servizi di urgenza, a partire dal triage, che smista oltre 100-200 bimbi al giorno in base alla stagione della malaria. Due spazi distinti per le urgenze mediche (uno per i codici gialli e l’altro per i rossi, con annesso stanzone dedicato all’osservazione) e uno per le urgenze chirurgiche, dove una radiologia e una sala gessi permettono di poter trattare abbastanza repentinamente gli innumerevoli traumi da incidenti vari, frequenti da queste parti.
    È all’interno della sala di osservazione che incontro una bimba molto seria. Resta seduta, con le manine appoggiate sul letto e il capo piegato a sinistra per sostenere la sua piccola schiena, cercando di far entrare più aria possibile durante la respirazione. Molto affannata e corta. Ha già posizionati gli occhialini per l’ossigenoterapia, ma evidentemente non è sufficiente. Sto prestando servizio in questa sala insieme a Ilaria, la dottoressa esperta di ecografia, venuta per formare sul campo i giovani medici specializzandi. Sono proprio loro a chiedere a Ilaria un’ecografia per la piccola Pulchérie, perché all’auscultazione del suo torace hanno sentito mormorii strani. L’immagine che appare ai nostri occhi, non appena posizionata la sonda ecografica, è davvero drammatica. Il cuore di Pulchérie è circondato di liquido, si tratta di un vasto versamento pericardico con rischio di tamponamento cardiaco. L’eziologia non è ancora nota, potrebbe trattarsi di una tubercolosi o chissà cos’altro, ma intanto si deve assolutamente cercare di ridurre la quantità di liquido. Pulchérie viene quindi trasferita d’urgenza in terapia intensiva, ma siamo tutti molto preoccupati, perché sembra necessario procedere a un drenaggio cardiaco, di difficile realizzazione in questo contesto. Pulchérie viene presa in carico dai nostri pediatri, soprattutto dalla nostra Jpo Giulia, specializzanda in Pediatria, che riesce immediatamente a impostarle una terapia efficace per evitarle il tamponamento cardiaco. Passano i giorni e la piccola sembra migliorare “kete kete” (piano piano), anche se sopraggiunge la complicazione di una trombosi alla giugulare destra. Ma è una bimba che non si arrende e il suo faccino ha assunto un’espressione da vera combattente. Ogni mio tentativo di strapparle un accenno di sorriso fallisce inesorabilmente. Non ha davvero motivi per ridere in questo momento. La lascio stare, ma ogni volta che entro in terapia intensiva mi viene da riservarle un saluto speciale, di incoraggiamento. Accanto a lei c’è sua nonna, che sorride a ogni smorfia indispettita della sua Pulchérie. Così, improvvisamente, mi viene l’idea di mostrarle attraverso il cellulare che anch’io ho una nipotina come lei a casa. Magia! Non appena iniziano a scorrere le immagini di Martina, mia nipote, il volto di Pulchérie si rilassa. Le sopracciglia non sono più aggrottate, le sue labbra si dischiudono leggermente in un sospiro di stupore. Finalmente i nostri sguardi si incontrano e la profondità di suoi occhi resterà indelebile nei miei ricordi. Dopo quasi due mesi di ospedalizzazione le cure per Pulchérie hanno funzionato, così la nonna è riuscita a riportarla a casa. Un giorno speciale per la sua famiglia, ma anche per me, Giulia, Ilaria e per tutti coloro che hanno contribuito alla sua guarigione».

     

    Fondo Bekou

    https://ec.europa.eu/

    Il Cuamm interviene nell’ambito del progetto “Supporto al Complesso Ospedaliero Universitario Pediatrico di Bangui”, finanziato dal Fondo Bekou dell’Unione Europea e realizzato in collaborazione con Action contre la Faim.I contenuti sono di sola responsabilità di Medici con l’Africa Cuamm e non riflettono necessariamente la visione dell’Unione Europea.