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La conoscenza il primo passo verso la salute

Le testimonianze degli attivisti comunitari del progetto “Protezione Integrale della Persona Sieropositiva in Angola”.

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    “È una bella giornata, in uno dei centri di salute dove sono attivi i servizi di prevenzione e cura delle persone che vivono con l’HIV, un collega del Consultorio prenatale chiama e ci avvisa dell’arrivo di Joana, una ragazza incinta di 18 anni con il fidanzato Alexander di 23, per essere sottoposti al test HIV – racconta uno degli operatori sanitari –. L’infermiera ci aveva informato che Joana era già stata sottoposta al test il giorno prima, che il risultato era “positivo” e perciò le aveva chiesto di ritornare al centro di salute il giorno seguente con il compagno, Alexander, perché anche lui potesse essere testato”.

    Effettuato il test alla coppia, Joana è risultata nuovamente positiva mentre Alexander negativo; un caso definito “coppia discordante”. Joana è scoppiata a piangere, era sotto shock, ha cominciato a porsi mille domande su cosa ne sarebbe stato di lei, cosa avrebbero pensato le persone; Alexandre invece manteneva la calma e cercava di tranquillizzarla ricordandole che doveva pensare anche al loro bambino.

    “Abbiamo spiegato a Joana ed a Alexander i vantaggi e i benefici della terapia che se seguita adeguatamente rende la carica virale non rilevabile, perciò l’infezione da HIV non può essere trasmessa né al bambino né al compagno – conclude l’attivista”.

    Alexander ha compreso la situazione, ha accettato la condizione di Joana e da quel giorno la accompagna sempre ai controlli, aiutandola a seguire adeguatamente la terapia. Oggi stanno bene, stanno per sposarsi e Alexander e il bambino sono negativi. La grande sfida per Joana sarà spiegare al padre le sue condizioni, ma è fiduciosa che tutto vada bene dato che le sorelle lo sanno già e l’hanno supportata molto.

    Il miglioramento della salute di una comunità parte da una maggiore conoscenza e consapevolezza delle tematiche di salute, anche e soprattutto di quelle meno trattate e ancora fortemente legate a numerosi tabù e pregiudizi, come l’HIV. È proprio questo il ruolo fondamentale svolto dagli attivisti comunitari nell’ambito del progetto “Protezione Integrale della Persona Sieropositiva in Angola” (Pipsa), finanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo. Si occupano di informare e sensibilizzare le comunità sull’importanza della prevenzione, e di effettuare i test per la diagnosi precoce della malattia. Lo fanno attraverso due strumenti fondamentali che si rafforzano reciprocamente: le campagne di sensibilizzazione e le visite periodiche domiciliari. Di casa in casa, gli attivisti cercano di convincere le persone sieropositive ad iniziare la terapia, aiutano ad evitare che chi è già in cura abbandoni il trattamento, e a ricondurre alla terapia coloro che l’hanno già abbandonato. La visita domiciliare poi rappresenta l’opportunità di entrare in contatto con la famiglia della persona positiva, permettendo di offrire il test dell’HIV anche ai familiari e cercando di fare in modo che diventino di supporto alla persona sieropositiva e che la incentivino nell’adesione alla cura.

    Dopo il primo anno di progetto, grazie al loro impegno quotidiano gli attivisti comunitari e gli operatori sono riusciti a creare un forte legame di fiducia con i pazienti positivi all’HIV. È proprio grazie a questo impegno dedicato e a questa fiducia che la storia di molti pazienti sieropositivi è cambiata, come la storia di Rufina.

    Rufina, una donna di 40 anni nata nella provincia del Malange, viveva a Viana, nel municipio di Luanda, con il marito e quattro figli. Quando il suo bambino più piccolo si è ammalato, ha scoperto di essere positiva all’infezione da HIV e da allora tutti i membri della famiglia del marito l’hanno incolpata di aver portato l’infezione in casa.

    Quando il bambino è morto, la coppia si è separata. Rufina è stata cacciata di casa e rimandata dalla sua famiglia. Giunta a casa, ha raccontato ai parenti delle sue condizioni di salute ma anche loro l’hanno rifiutata. Rufina, rimasta sola, abbandona la terapia e decide che l’unica soluzione sia quella di tornare a vivere in Malange, dove altri familiari, già informati della sua condizione, si erano mostrati pronti ad accoglierla senza discriminarla.

    Qualche tempo dopo, in seguito alla perdita del lavoro, Rufina decise di tornare di nuovo a Luanda e sapendo che il marito era morto, sperava che i figli la ospitassero. Fu cacciata di nuovo, e senza lavoro e senza un posto dove stare fu costretta a vivere per strada, in case abbandonate, sotto i ponti e nei cortili delle case delle sole persone che le avevano mostrato un po’ di gentilezza e solidarietà. Fu solo quando le sue condizioni peggiorarono gravemente che decise di recarsi al Centro di Salute KM9A di Luanda per riprendere la cura per l’HIV e fu lì che incontrò il team del progetto Pipsa.

    “Aveva un aspetto terribile, le ho parlato e le ho chiesto di tornare il giorno dopo – racconta la sua attivista di riferimento -. Le abbiamo portato dei vestiti e prodotti per pulirsi, e una infermiera del Centro le ha offerto da mangiare per alcuni giorni; è stata soccorsa, è stata accolta ed ha ripreso la sua terapia”.

    Gli attivisti sono riusciti a contattare una cugina di Rufina che vive a Luanda; le hanno spiegato le condizioni di salute di Rufina e l’hanno convinta ad accoglierla a casa. Oggi Rufina non è più sola, ha finalmente un posto dove stare, sta assumendo regolarmente le sue medicine e segue la terapia. Comincia a convivere con la sua condizione e a far fronte alle discriminazioni ancora troppo diffuse e legate all’HIV. Il suo prossimo traguardo? Riavvicinarsi ai figli.

    Storie che raccontano di emarginazione, stigma ma anche di consapevolezza, accettazione e speranza. E ancora storie che comunicano l’importanza dell’educazione sanitaria, del ruolo essenziale che gli operatori e gli attivisti comunitari hanno nel sensibilizzare le comunità e nel combattere la discriminazione, causata anche dalla disinformazione.

    Queste storie, tra le altre, faranno parte della pubblicazione curata da Giulia Natali, capo progetto Pipsa, e da Luciano Nigro, infettivologo Cuamm. Questa pubblicazione si pone l’importante obiettivo di informare sulla infezione da HIV e sui benefici della terapia, per combattere la discriminazione e l’emarginazione causata dalla disinformazione, e per ribadire l’essenzialità del lavoro degli attivisti comunitari nell’affrontare l’infezione.

    Operatori inseriti nel progetto PIPSA:


    Attivisti:

    • Tavares Mambo
    • Judith Vemba
    • Rafael Salvador
    • Margareth Cardoso
    • Bernarda Gaspar
    • Pindi Calandula
    • Chanceline Salvador
    • Ungana Fernandes
    • Marcus Fundumuka
    • Josefa Bengui

    Infermieri:

    • Suka Jonatao CUAMM
    • Berta Gonçalves
    • Natalia Comandante

    Coordinatori:

    • Mauro Silvestre
    • Eugenio Do Nascimento

    Motoristi:

    • Adriano De Almeida
    • Barreira Malungo/Manuel Cardoso CUAMM

    Data Entry:

    • Noè Cardoso/Jose Pemba de Resurreiçao CUAMM

    Giulia Natali: capoprogetto UMMI
    Teresa Baldoni/Stefania Rocca: biologhe UMMI
    Luciano Nigro: Infettivologo CUAMM