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Curare con maniocchi, orecchie

Al PCMH Hospital di Freetown

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    “A volte, quando la situazione diventa critica, o c’è bisogno di un paio di mani in più anch’io aiuto le mie colleghe: rimango pur sempre un infermiere e mai potrei sottrarmi al contribuire, anche in modo pratico, a salvare una vita umana. Sono orgoglioso del mio lavoro perché mi sento utile su due fronti: non sono solo un infermiere, sempre pronto a mettere le mani sui pazienti nel tentativo di curarli o capire cosa li stia facendo stare così male, ma sono anche gli occhi e le orecchie del Cuamm sul campo. Grazie ai dati che raccolgo quotidianamente, insieme con il Cuamm e con il Dottor Pisani, tutti i giorni cerchiamo di migliorare le sorti di questo complesso ospedale di periferia e di capire come e dove dobbiamo crescere e migliorare. Sia a livello sanitario locale che come azione di supporto del Cuamm”.

    “Le terapie semi-intensive, chiamate HDU (High Dependency Units), sono reparti nei quali vengono ospitati i pazienti critici (per lo più donne), spesso a rischio di vita e con gravi problemi di salute come ipertensione, rischio di embolie polmonari, infezioni, bassa saturazione; conseguenze queste ultime, spesso, della gravidanza e del parto. Alcune hanno perso i loro bambini e sono state operate di urgenza, altre hanno partorito bambini perfettamente sani ma si trovano ad alto rischio di mortalità, altre ancora sono in gravidanza ma presentano valori gravemente sballati i e vengono tenute sotto osservazione. Le più gravi si trovano in stato di incoscienza o semi-incoscienza”.

    “Il mio compito, come Data Officer del Cuamm, è quello di monitorare la situazione all’interno dell’HDU del PCMH. Di fatto, mi occupo di inserire all’interno di un’applicazione appositamente creata dal Cuamm i dati relativi ai vari pazienti, sia all’interno della terapia semi-intensiva, sia negli altri reparti (prenatale e post natale, pre-operatorio ed eclampico, ginecologia e altri). Raccolgo i dati relativi ai pazienti: sia i dati personali al loro arrivo in ospedale e in caso di ammissione alla terapia semi-intensiva (nome, cognome, età, generalità) sia quelli relativi al loro stato di salute e al miglioramento o peggioramento delle loro condizioni, inclusi il numero di dimissioni e decessi. Nel corso delle 24 ore successive, alla stessa ora del giorno in cui il paziente viene ammesso all’HDU, torno in reparto, consulto i grandi registri coi dati e le informazioni relative allo stato di salute dei pazienti compilati dalle infermiere durante le ore notturne o durante le mie ore di riposo, e così sono in grado di monitorare le variazioni dei loro parametri e di rilevare il numero di decessi (qualora ce ne fossero stati), il numero di persone dimesse e l’andamento generale della situazione a livello sanitario. I dati vengono poi inviati su base mensile al dottor Luigi Pisani medico del Cuamm, che si occupa di analizzarli e di identificare possibili errori e problematiche su cui intervenire, nonché le aree o le specifiche attività da migliorare.

    “Il mio lavoro è un lavoro importantissimo perché sono “l’uomo sul campo del Cuamm”, lo sguardo diretto sull’ospedale e il portavoce di ciò che accade nei vari reparti” riconosce con orgoglio Momoh. La raccolta dati è alla base degli studi del Cuamm per l’individuazione delle problematiche esistenti e il successivo miglioramento delle cure e dell’assistenza sanitaria”. Il reparto di terapia semi-intensiva è piccolo, ospita cinque letti, quando arriviamo ci sono solo tre donne ricoverate e fino a quando saranno lì dentro non si sa se riusciranno o no a superare quel momento critico. “Qui, nell’ultimo anno, hanno lavorato con me anche Milena Mortara e Sara Barbiero due Jpo italiane, specializzande in anestesia e rianimazione. Le nostre infermiere e i nostri medici hanno collaborato con loro in uno dei reparti più delicati dell’ospedale. Questa sensazione di precarietà mi trasmette sempre un misto di emozioni: dalla paura di poter perdere un paziente da un momento all’altro, all’orgoglio di essere lì per contribuire affinché questo non accada” riconosce Momoh.

    (testimonianza raccolta da Giulia Mascia, volontaria del servizio civile in Sierra Leone)