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La testimonianza di Christiana J. Sellu, che lavora al Bo Hospital, in Sierra Leone.

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    “Sono di Kenema e lavoro qui da 7 anni. Ho seguito il corso di 3 anni per infermiera diplomata dopo la scuola secondaria e poi altri due anni il corso di ostetricia, un anno di teoria e uno di pratica.
    Ho sempre voluto fare questo lavoro, fin da ragazzina. Quello che mi piace è il contatto diretto con ogni tipo di persone: ricche e povere, alte e basse…non scegli, arrivano e aiuti persone che hanno tutte un bisogno.
    Ero all’ospedale di Bo anche durante l’epidemia di Ebola. Tutti avevamo paura, soprattutto qui in maternità, perché hai a che fare con il sangue, con i fluidi del corpo. Ricordo una donna che sanguinava molto, ero terrorizzata. Poi mi sono detta, che se era arrivata qui era perché aveva proprio bisogno, non poteva fare altro. Così ci siamo vestite con le protezioni e abbiamo cercato di bloccare l’emorragia, ma la placenta era danneggiata e non ci siamo riuscite. Purtroppo la donna è morta e al test di ebola è risultata positiva. Ma le protezioni hanno evitato il contagio. Perché per salvare vite devi essere vivo tu e quindi devi proteggerti. In quel periodo arrivò a partorire in ospedale una collega e qualcuno riteneva inutile proteggersi, perché la conoscevamo. Ma io insistetti, perché non era un’offesa nei suoi confronti, ma una precauzione indispensabile. E purtroppo anche lei risultò positiva al test di Ebola. Dopo questi due episodi tutto il personale imparò la procedura corretta e ora il protocollo per l’Infection prevention and control, IPC, è sempre seguito. Perché quando ebola è arrivata, non ce ne siamo accorti subito. Ora è andata, ma restano malattie infettive rischiose come l’epatite. Lo stile di lavoro è cambiato. Ma ora il problema è che molti operatori hanno lasciato la scuola da troppo tempo, o la scuola è stata chiusa con l’epidemia e molte cose non sono state insegnate o si sono dimenticate. Dobbiamo dare un’assistenza di qualità, ma per farlo c’è bisogno di formazione e aggiornamento. Le cose non sono andate come speravamo e ora dobbiamo imparare metodi nuovi, migliorare le conoscenze. Sarebbe molto utile se si organizzassero corsi di formazione. Come ostetrica vorrei che ogni donna partorisse in modo sicuro e potesse tornare a casa col suo bambino. Purtroppo la mortalità materno-infantile è ancora molto alta e si sente lo stress di questa situazione. Da gennaio a marzo nel distretto credo che abbiamo avuto 16 o 17 morti materne, ed è tantissimo. Qui arrivano donne anche da Freetown e Kenema perché sanno che qui le assistiamo. Durante Ebola arrivavano da tutto il paese. La presenza del Cuamm ha aumentato gli arrivi perché le risorse umane si sono rafforzate, è stato migliorato il sistema idrico nella maggior parte dell’ospedale e dell’elettricità che durante Ebola era solo solare e si era anche guastato”.

    Testo e foto raccolti da Susanna Pesenti

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