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Il bambino elefante

Una storia che arriva dall’Angola ci insegna che tutti possono imparare qualcosa da un’esperienza difficile e talvolta è proprio grazie a questo insegnamento che può partire un cambiamento.

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    «Era un pomeriggio di domenica, alla fine di un turno di guardia di 72 ore e arrivò Natal, un bambino febbrile, nudo, avvolto solo da un panno, con il volto segnato dalla paura e dal dolore, aveva un prurito insopportabile su tutto il corpo. Non scorderò mai la sua sofferenza in cerca di un sollievo – racconta Giulia Giulietti, pediatria dell’Unità Malnutrizione dell’ospedale di Chiulo, in Angola– Natal aveva contratto la scabbia, ed essendo stata trascurata, aveva raggiunto uno stato avanzato. La madre aveva affidato il figlio alle cure di un Quimbandeiro (la figura di curatore tradizionale a pagamento che è presente in alcuni villaggi). L’applicazione di foglie sulla cute e i clisteri somministrati avevano causato l’irritazione e aggravato l’infezione di pelle e mucose, tanto da fargli guadagnare l’appellativo di “bambino elefante“. Una volta preso in carico in ospedale, abbiamo iniziato un trattamento che consisteva nell’applicazione d in una crema riparatrice. Mi piaceva farlo personalmente – confida Giulia con commozione – perché era un momento di coccole e Natal, esausto, spesso si addormentava durante la procedura.Un giorno ricevetti una chiamata dall’infermiera di turno: improvvisamente Natal era entrato in coma. Per me è stato terribile; come era possibile?! Fino a qualche giorno prima stava migliorando, non c’erano stati segnali di allarme. In queste situazioni bisogna avere sangue freddo, pensare alle possibili cause e trovare tempestivamente un trattamento efficace dopo le misure di primo soccorso. Le ore che si sono successe a quella telefonata, sono state di angoscia: si cerca sempre di mantenere un distacco emotivo, ma a volte non è possibile».

    La stessa notte, 12 ore dopo, Giulia ricevette un’altra comunicazione, ma questa volta era una bella notizia: il “bimbo elefante” si era svegliato esclamando: “Tenho fome, quero funge com peixe (ho fame, voglio funge, ovvero una pietanza simile alla nostra polenta e pesce)”. «Ricordo ancora liberarsi nel petto una sensazione di felicità indescrivibile, un’emozione unica, un risultato che abbiamo raggiunto con un grande lavoro di squadra». Da questa esperienza che ha avuto un lieto fine, tutti hanno imparato qualcosa. La madre ora sa che l’opzione migliore per la salute di suo figlio è l’ospedale, anche se a volte è la meno accessibile a causa della distanza e del costo degli spostamenti; Giulia e i suoi colleghi hanno appreso che solo insieme è possibile far fronte alle difficoltà meno prevedibili e Natal ha compreso cosa vuole fare da grande e lo ha confidato proprio a Giulia: “Eu quero ser um médico mas dos adultos para curar-te se você um dia precisar (voglio diventare un medico ma dei grandi, così un giorno se avrai bisogno potrò curarti)”. E dalla determinazione che ha dimostrato, non c’è dubbio che riuscirà a realizzare il suo sogno. Buona fortuna piccolino!

     

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