Da Pujehun dove una mamma è tornata a sorridere
Elisabetta Tuniz, ostetrica in Servizio Civile in Sierra Leone, racconta una delle sue giornate di lavoro al Government Maternity Hospital, dove il Cuamm opera dal 2012.
«Diamo per scontato, spesso, che una mamma sappia come allattare il suo bambino, pensiamo che l’allattamento al seno sia sempre semplice, perché d’altronde è una cosa naturale. Quando però diventi mamma a 16 anni e nessuno ti spiega come allattare al seno e come risolvere eventuali problemi forse ti viene spontaneo abbandonare tutto e offrire dell’acqua al tuo bimbo. Perché il seno fa male, perché il neonato non si attacca bene, perché piange». Elisabetta Tuniz, ostetrica in Servizio Civile in Sierra Leone, inizia così a raccontare una delle sue giornate di lavoro all’Ospedale di Pujehun. Quella che ci fa conoscere Elisabetta è la storia di una delle tante mamme che ogni giorno arrivano al Government Maternity Hospital, dove il Cuamm opera dal 2012.
Siamo in un piccolo distretto rurale, a oltre 300 km dalla capitale Freetown: questo è l’ultimo miglio di un Paese in cui il tasso di mortalità materna è tra i più alti del mondo. «Quando Amie è arrivata da noi il suo seno presentava un ascesso che le provocava forte dolore. Avvolto nel suo lapa teneva con sé un bimbo di un mese che pesava come alla nascita. Era spaventata e ci guardava con due occhi enormi, mostrando tutto il suo timore – prosegue Elisabetta -. È stata accolta dal team del reparto di maternità, mentre il suo piccolo dal personale sanitario del reparto malnutrizione. Amie si è fidata dei professionisti che hanno cercato di aiutarla: così il suo seno ha cominciato a farle meno male grazie alle medicazioni e alla terapia e il suo bambino ha iniziato a ricevere dei pasti preparati dalle nutrizioniste. Al mio arrivo in Ospedale vedevo Amie indaffarata nel prendersi cura del suo piccolo e sentivo tutto l’amore che ci metteva nel nutrirlo».
«Quando entravo nella sua stanza, però, Amie diventava subito preoccupata e triste perché era il momento della medicazione, molto dolorosa. Qualche giorno fa, invece, l’ho vista sorridere sulla porta della “Room 5” dove, come spesso accade, le donne cantano e ballano quando ricevono una buona notizia – dice Elisabetta -. Vorrei vedere pian piano sempre più spesso quel sorriso sul suo volto. Vorrei che Amie non si preoccupasse se l’allattamento al seno non è andato nel migliore dei modi. Ha saputo chiedere aiuto e fidarsi di chi si è preso cura di lei nonostante le paure e la sofferenza. Ora il suo bambino sta recuperando tutte le forze e Amie lo sta accudendo nel migliore dei modi».
Ogni giorno in Sierra Leone, così come negli altri paesi dell’Africa sub-sahariana in cui operiamo, il nostro staff è in prima linea per cercare di garantire cure di qualità alle mamme e ai bambini che ne hanno più bisogno.