Medici con l'Africa Cuamm

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Tra gli sfollati di Debre Berhan

Sono 100 mila le persone tra sfollati e ospitanti, che hanno ricevuto cure salvavita, grazie ad un progetto sviluppato a Debre Berhan, nella regione etiope di Amhara, dove la situazione resta critica.

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    «13 mesi di impegno, 100 mila persone raggiunte, tre volte il numero immaginato. Si è concluso a Debre Berhan, nella regione etiope di Amhara, il progetto realizzato da Medici con l’Africa Cuamm, con il sostegno di World Health Organization, per garantire l’accesso a servizi sanitari essenziali agli sfollati e alle comunità ospitanti. Una risposta emergenziale sviluppata, inizialmente, per supportare 30 mila persone, ma che, poi, ha offerto assistenza a quasi 100 mila. Con l’impiego di quattro squadre mobili, il Cuamm ha supportato il dipartimento di salute nella distribuzione di farmaci e 4.500 dignity kits alle donne più vulnerabili nella zona d’intervento.

    Durante il workshop di presentazione dei risultati, a cui hanno partecipato le autorità locali, il team di Who e alcuni portavoce degli attori sul territorio, come Goal e Project Hope, Bekele Gebire, rappresentante del dipartimento di salute di zona, ha evidenziato come in Amhara lo stato di bisogno abitativo, sanitario e nutrizionale sia ancora grave, nonostante gli sforzi attuati insieme. Gebire ha spiegato che la popolazione ha dovuto affrontare anche lo scoppio di epidemie, come colera, morbillo e infezioni respiratorie acute. Il Cuamm ha contribuito a fronteggiare queste “emergenze nell’emergenza”, offrendo cure, sempre in sinergia con le istituzioni etiopi e i partner.
    Tra le sfide più grandi dettate dal contesto, le squadre mobili hanno operato nonostante la scarsità di risorse d’acqua e di infrastrutture, attivandosi sei giorni a settimana. Tra le 100 mila persone destinatarie di farmaci, screening nutrizionali, visite mediche, più di 82 mila sono sfollate; circa 1.500 hanno fatto ritorno dopo il conflitto e vivono in condizioni precarie; più di 13.500 appartengono alla collettività ospitante».

    Quello che non si vede…

     «In Kebele 08, tra le vie che si diramano dalla strada principale di Debre Berhan, una struttura che ha la grandezza di un campo da basket, conta quasi 400 persone, tutte sfollate dal conflitto. Si scorge uno spazio in cui ci sono pentole, catini, qualche sacco di teff, legna che si asciuga dalle piogge dei giorni precedenti; nel resto dell’edificio, una mare di materassi, tutti uno accanto all’altro, distribuiti lungo le pareti e, al centro, qualche donna che fa il fuoco e prepara il pranzo. Uscendo nel cortile esterno, si incontrano la clinica del Cuamm, i bagni e le docce, insufficienti per il numero di persone che vivono nello shelter, qualche case in lamiera abitata da famiglie che sono originarie della zona, bambini che controllano l’essiccatura dei cereali.
    Alcune mamme si avvicinano, chiedendo quando inizierà il prossimo turno in clinica, perché hanno bisogno di portare i figli. Adesso che la stagione delle piogge è ripresa, dicono, i piccoli hanno una forte tosse, qualcuno la dissenteria, condizioni che, in un ambiente a rischio, aumentano la mortalità infantile. Prima di andare via, un’anziana riconosce Tassew, capoprogetto del Cuamm, e lo avvicina, lo prende per mano, scambia qualche parola: “Abbiamo bisogno di voi”».

    Il China camp

    «Un contesto estremamente diverso, per estensione, infrastrutture e popolazione è il campo che si trova poco fuori il centro di Debre Berhan, dove c’è lo scheletro di una fabbrica di proprietà cinese, da cui deriva il nome dell’area, China camp. Una distesa di tende così sgualcite che si può immaginare da quanto tempo le famiglie ci vivano. Qui si condivide tutto: le tende più piccole, le capanne in lamiera, i pochi bagni. China camp oggi ospita 6 mila persone, un numero che cresce rapidamente. E il Cuamm è l’unica organizzazione che fornisce servizio sanitario. Il nostro centro di salute è anch’esso una tenda con un piccolo team a disposizione: un mental health officer, un infermiere, a volte un’ostetrica e una health officer, come Yokabed Abebe, che coordina lo staff.

    Durante il workshop di conclusione del progetto, i partner e i donatori hanno espresso soddisfazione per la pronta risposta che il Cuamm ha sempre saputo fornire, mobilitando i propri professionisti e aggiungendo negli ultimi sei mesi 4 health officer a supporto dei team mobili nei campi di Kebele 03, Kebele 04, Kebele 08 e China camp. La situazione nell’area, tuttavia, resta critica, soprattutto in questa stagione; in molte delle aree ospitanti le comunità di sfollati non sono adeguate neppure dal punto di vista infrastrutturale. Cuamm, congiuntamente ai dipartimenti di salute locali, ha pianificato la mobilitazione da parte dei centri di salute di operatori sanitari che, regolarmente, continueranno a visitare, condurre screening e assistere famiglie, anche con la fine del progetto. Un impegno che prosegue, ma che necessita di sostegno. Perché non si può vivere una vita da sfollato».