Una chiamata per tutti: partite!
Un appuntamento con la diversità, la complessità e forse, anche l’umiltà. Certamente un’occasione straordinaria di crescita e confronto. È dedicata ai giovani medici specializzandi: fino al 15 giugno 2022 è ancora possibile inviare la propria candidatura come Jpo (Junior Project Officer).
Un appuntamento con la diversità, la complessità e forse, anche l’umiltà. Certamente un’occasione straordinaria di crescita e confronto. È dedicata ai giovani medici specializzandi: fino al 15 giugno 2022 è ancora possibile inviare la propria candidatura come Jpo (Junior Project Officer). Ma per tutti è appassionante immergersi nelle storie di Alessandra, Benedetta, Milo, Silvia e Enrico che hanno svolto la loro esperienza di Jpo all’ospedale di Tosamaganga, in Tanzania. Perché accettare di imparare può sembrare faticoso, ma aiuta ad aprire strade nuove. Milo non ha dubbi: «Il lavoro con un team solido mi ha fatto crescere. Partite!».
Con i “piccoli grandi” di Alessandra Lumaca, pediatra di Firenze
«In Tanzania ho capito che cosa significa fare il medico a 360 gradi. Grazie allo studio della lingua locale, lo swahili, ho stretto un legame profondo con i pazienti, in particolare con alcuni adolescenti affetti da Hiv, che io considero “piccoli grandi”: vivono una fase intermedia tra l’infanzia e l’età adulta, sono consapevoli della loro malattia, allo stesso tempo fanno fatica ad accettarla. E con quanta forza cercano di resistere! Ricordo un ragazzino di 12 anni, malnutrito e con Hiv. Pesava soltanto 18 chili, non si reggeva in piedi, così l’ho preso in braccio per accompagnarlo a fare la radiografia. Ci ha provato fino all’ultimo, ma non ce l’ha fatta. È stata dura accettare la sua morte, così come quella di tanti altri giovanissimi. Ma anche per questo il programma Jpo è formativo. Sono partita con mente aperta, per mettermi in gioco: quello che ho provato è stato completamente diverso da come me l’aspettavo. È come imparare da zero. Faticoso, ma importante per me e per la mia professione».
Un reciproco scambio di Benedetta Goletti, internista di Roma
«Ricorderò sicuramente Ruben, un collega locale, mio coetaneo, molto preparato su malattie infettive che noi vediamo poco, ma che in Africa sono comuni. Ho imparato tanto da questo giovane e credo che, a sua volta, lui abbia imparato da me, più ferrata sulle patologie croniche. Il nostro lavoro è stato di reciproco scambio, una collaborazione che ha funzionato. Ne sono orgogliosa. Ricordo anche qualche momento di sconforto: ciò che mi ha fatto impressione è non riuscire ad intervenire su patologie curabili come la tubercolosi. Così come dobbiamo fare molta strada sulle malattie croniche. Le sfide sono tante e l’accessibilità ai farmaci non è scontata. Ho curato tantissimi pazienti che, in giovane età, presentavano già complicanze acute gravi. Mi sono resa conto di quanto noi abbiamo e diamo per assodato, come la prevenzione e il trattamento precoce. Il mio consiglio ai futuri Jpo: ascoltare. Quando una pratica sembra assurda, è fondamentale fermarsi e provare a capire, perché c’è sempre una spiegazione. Non esiste “la medicina”, esiste “una medicina”, diversa a seconda del contesto e della cultura. Dobbiamo pensare a chi abbiamo di fronte, per personalizzare il trattamento».
In punta di piedi di Milo Giani, ginecologo di Empoli
«Da tempo desideravo partire per l’Africa. Ho scelto di farlo con il Cuamm, che ho scoperto un po’ per caso, cercando in Rete, ma di cui ho subito condiviso approccio e valori. Inizialmente, la lingua ha rappresentato un grande ostacolo. Poi, ho acquisito un livello base di swahili, così da poter comunicare con i pazienti. Anch’io penso sia fondamentale per ogni Jpo entrare in punta di piedi nella realtà e porsi in ascolto, soprattutto nella prima fase. Con il passare del tempo, una volta ottenuta la fiducia dei colleghi, sono loro che, spontaneamente, chiedono consigli e aiuto. Mi sono trovato, così, ad affrontare casi clinici in completa autonomia, ad assumermi grandi responsabilità. Ho imparato molto dal dottor Maziku, ginecologo davvero competente e aperto al confronto. Ho vissuto esperienze forti e gratificanti, come un caso di isterectomia per rottura d’utero che si è risolto bene e la donna è tornata a casa con i suoi 8 bambini. Certo, ce ne sono state altrettante dolorose, ma il lavoro con un team solido mi ha fatto crescere. Partite!».
Come in una famiglia di Silvia Brognoli, ginecologa di Brescia
«Ero già stata in Africa da studentessa, pensando mi sarebbe piaciuto lavorare nella cooperazione. Oggi ne sono convinta. La mia esperienza come Jpo è stata estremamente positiva. Ho avuto l’opportunità di seguire casi ostici e di passare molto tempo in sala operatoria e in sala parto. Assistendo ad emergenze di vario tipo, grazie alla dottoressa Kathrine che mi ha seguito, ora mi sento più tranquilla e sicura nel doverle affrontare in Italia. Il rapporto con i colleghi è stato positivo: ho vissuto in una sorta di famiglia, un piccolo nucleo dove condividere fragilità e sostegno reciproco. Nel nostro Paese, spesso questo non succede. Anche con Milo, mio collega in ginecologia, ho instaurato un ottimo rapporto, ci siamo sempre confrontati sui casi e appoggiati a vicenda. In generale, Tosamaganga è una città vivibile: alloggiavamo nella guest house del Cuamm, che ospita dalle 7 alle 20 persone, non lontana dal centro urbano. Non mi sono mai sentita sola!».
Dare il proprio contributo di Enrico Piga, pediatra di Cagliari
«In Tanzania ho vissuto un’esperienza umana che mi ha permesso di conoscere realtà lontane, affrontare concetti diversi di vita e di morte, percepire quanto sia precaria l’esistenza. Ho apprezzato particolarmente il senso di unione del team di professionisti, che andava oltre il lavoro. In neonatologia i colleghi hanno sempre cercato il confronto, coniugato ad un senso di appartenenza forte. I meeting che ho seguito sono stati sempre molto partecipati, ho notato che ognuno dava il proprio contributo, condividendo la propria opinione. Ho avuto l’impressione di trovarmi al punto di partenza ideale per iniziare il cammino con il Cuamm. Il “con” è un aspetto faticoso, i ritmi sono differenti e bisogna lavorare in quest’ottica per fare passare un metodo di lavoro che rimanga anche dopo. Occorre anche tanta pazienza per operare CON e non per. Capire l’idea di urgenza, comprendere le priorità non è uguale per tutti. L’unico modo per superarlo è dedicarsi a loro. Penso che tornerò in Africa!».