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Essere ostetrica in Angola

Florentina Maria e Fernanda Felicia sono due parteiras tradizionali. Vivono nella zona rurale di Humbe, provincia del Cunene e ogni mese camminano tra le diverse piccole comunità per poter tenere degli incontri di sensibilizzazione sul parto sicuro, ma anche su diverse tematiche di salute pubblica. Un racconto di dedizione e di cura, davvero quotidiane.

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    Florentina Maria e Fernanda Felicia sono due parteiras tradizionali, due ostetriche di 66 e di 62 anni. Vivono nella zona rurale di Humbe, provincia del Cunene e ogni mese camminano tra le diverse piccole comunità per poter tenere degli incontri di sensibilizzazione sul parto sicuro, ma anche su diverse tematiche di salute pubblica quali igiene e prevenzione della malaria. Le abbiamo incontrate, in una giornata d’incontro e formazione delle parteiras: un racconto di dedizione e di cura, davvero quotidiane.

     

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    In occasione delle attività di sensibilizzazione Florentina incontra 30-40 persone, a volte, 50-60 persone. Di queste, molte sono donne incinte e spesso sono presenti anche uomini. «Parlare con gli uomini è importante perché in molte comunità sono loro a decidere se le donne posso andare in ospedale a partorire, o a fare le visite mediche, o alla casa de espera degli ospedali. Nelle comunità più grandi possiamo accordarci con la capa del mercato e fare formazione nella piazza, dove si incontrano più persone, così come in chiesa nei fine settimana».

    Secondo Florentina le maggiori difficoltà si verificano «quando le donne in gravidanza non vogliono andare alle visite mediche per non allontanarsi da casa, molte non hanno i soldi necessari per andare a fare le visite o agli incontri di vaccinazione». Fernanda racconta: «Quando andiamo in queste aree le donne ci chiedono soldi, zanzariere e farmaci, ma sono cose che noi non abbiamo e che hanno solo gli infermieri di salute pubblica. Non è facile perché si aspettano qualcosa da noi, mentre noi siamo lì per fare incontri di sensibilizzazione sul parto sicuro. A volte vengono a chiamarci in comunità perché le donne non sono andate in ospedale o nei centri di salute a partorire e si verificano delle complicazioni. Questi casi sono brutti perché noi diciamo che non possiamo essere di aiuto e sappiamo che solo negli ospedali possono ricevere le cure necessarie. Noi parliamo della possibilità di recarsi anche delle case de espera, se non hanno soldi per il passaggio, consigliamo di avvicinarsi poco a poco. Raccontiamo che nelle case de espera c’è appoggio, c’è cibo. Adesso con il problema della siccità e del cibo che manca, è molto importante avere un appoggio così. Un’altra grande difficoltà è la distanza, anche noi camminiamo chilometri e chilometri. Una volta c’era una calendario, ci spostavamo con la macchina del municipio e c’erano molte più donne durante i nostri incontri».

    Entrambe partecipano agli incontri di formazione che Il Cuamm organizza per queste figure professionali, come ci racconta Florentina: «Sono momenti importanti perché sono l’unico sostentamento che riceviamo e ci permette di continuare con il nostro lavoro. Inoltre è bello perché in questi incontri impariamo anche cose nuove per esempio sulla malnutrizione e sulla cura dell’igiene, fondamentali per prevenire diverse malattie».

    Florentina e Fernanda si sono avvicinate a questa professione in modo diverso: Florentina è diventata ostetrica tradizionale durante la guerra, più o meno nel 1981. Ha iniziato imparando le basi da infermiera quando prestava servizio nei posti di salute, negli anni in cui c’era poco personale infermieristico e medico, così ha imparato come si assiste ad un parto o come far girare un bambino podalico nella pancia. Fernanda, invece, racconta: «Ho imparato a fare l’ostetrica negli anni di servizio militare quando lavoravo nel reparto sanitario. Il governo poi con la pacificazione ha riconosciuto questa figura di ostetrica tradizionale e ci ha inquadrate».

    Le testimonianze di Florentina e Fernanda ci aiutano a comprendere l’importanza di questa figura in Africa, dove la presenza di un’ostetrica in ospedale o sul territorio può davvero salvare molte vite.

     

     

     

     

     

     

     

     

     

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