Un viaggio che porta speranza
Un racconto a quattro mani quello scritto da Niccolò e Kim Fabi, padre e figlio che insieme hanno intrapreso un viaggio “immaginario” in Africa per dare voce a Momo, il protagonista della favola di Medici con l’Africa Cuamm per la Festa della Mamma.

Un racconto a quattro mani quello scritto da Niccolò e Kim Fabi, padre e figlio che insieme hanno intrapreso un viaggio “immaginario” in Africa per dare voce a Momo, il protagonista della favola lanciata da Medici con l’Africa Cuamm in occasione della Festa della Mamma. “Il viaggio di Momo” racconta le tante prove che ogni giorno affrontiamo per portare cure e assistenza sanitarie fino all’ultimo miglio, un impegno che oggi si rinnova per promuovere la campagna vaccinale contro il Covid-19 fino alle più remote aree rurali. Un impegno che Niccolò, amico del Cuamm, ha conosciuto sul campo e di cui si è fatto testimone nel corso degli anni. In questa intervista ci racconta come ha vissuto questa esperienza unica e bellissima di liberare la fantasia insieme a Kim, che non vede l’ora di conoscere l’Africa e incontrare “Momo”.
Attraverso questo racconto ci hai aiutati a dare voce all’Africa e ai suoi bisogni. Se potessi esprimere un desiderio per il futuro dell’Africa, delle nuove generazioni, quale sarebbe?
«L’augurio paradossale che io farei all’Africa è quello di non avere più bisogno di Medici con l’Africa Cuamm. Simbolicamente l’assenza di questo bisogno significherebbe avere realizzato il sogno di un’Africa indipendente e autonoma, che in qualche modo riesce a soddisfare le proprie necessità da sé, smettendo di essere terra di conquista e riuscendo ad auto conservarsi in totale autonomia. L’augurio è di arrivare a una vera e propria indipendenza che poi significa libertà di autodeterminarsi».
In quest’ottica, che è anche la prospettiva del nostro intervento, qual è allora l’augurio che senti di rivolgere a Medici con l’Africa Cuamm?
«L’augurio al Cuamm è di riuscire ad accompagnare gradualmente l’Africa verso questa indipendenza, di essere parte di questo processo. Di essere sempre e profondamente “con”, sostenendo senza creare dipendenza dall’aiuto, fino ad arrivare a una chiusura ideale, simbolica di un’attività così lunga. Immagino che questa cosa, purtroppo, non si realizzerà nell’immediato e non coinvolgerà noi contemporanei. Però volendo fare un augurio che è insieme un sogno, il mio sarebbe questo. È evidente che viviamo un tempo di trasformazioni geopolitiche, in cui la visione eurocentrica della Storia, per come siamo stati abituati a leggerla e a studiarla, si sta profondamente trasformando. L’Africa sarà parte centrale di questa trasformazione: mi auguro che riesca ad essere davvero protagonista e non più terreno di conquista».
Con il Cuamm hai condiviso tanta strada e l’impegno per l’Africa, quale sarà la prossima tappa?
«La prossima tappa è un po’ quella che stiamo vivendo in questo momento. In più di 10 anni abbiamo cercato in tante maniere, simili ma diverse, di unire le nostre vite dandoci la possibilità di aiutare a raccontare le sfumature del modo in cui il Cuamm lavora. L’ultima è proprio quella di cui stiamo parlando ora. È il racconto di questa favola che rappresenterà poi un capitolo importante nella mia vita personale quando riuscirò a portare per la prima volta con me in Africa Kim a conoscere Momo, in un prossimo viaggio. Immagino che quando succederà sarà l’ennesimo cerchio che si chiude, citando qualcosa che ci riguarda, e insieme sarà il finale più bello del racconto che stiamo facendo».
Sarà di sicuro un viaggio di storie, immagini e suoni nuovi. Qual è il “suono” dell’Africa che ti è più caro?
«Il suono che fanno le donne, mamme, nonne, ragazze, giovani e meno giovani, per salutarci quando arriviamo. È qualcosa a metà tra un canto e un grido: l’ho sentito tante volte, in tanti paesi diversi, al nostro arrivo nei villaggi più remoti. Non so se ha un nome, per me ha il sapore dell’accoglienza che suona di benvenuto».