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“Saving Lives” in Sierra Leone

L’impegno del Cuamm per migliorare la vita di donne e bambini, con un’attenzione particolare all’inclusione di tutta la comunità e alla crescita delle competenze degli operatori sanitari.

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    La collaborazione con l’Africa, con i suoi operatori e con le sue comunità è da sempre centrale per il Cuamm. Con questo stesso approccio, il programma “Saving Lives”, attivo da tre anni in Sierra Leone, mira a salvare la vita di donne incinte, neomamme e bambini sotto i 5 anni. Tramite la collaborazione con il District Health Management Team, il team di gestione sanitaria distrettuale, abbiamo sviluppato vari interventi finalizzati allo stesso obiettivo.

    Nei distretti di Bonthe e Pujehun, il Cuamm si è dedicato a promuovere l’importanza delle donazioni di sangue e a rafforzare la gestione della catena di approvvigionamento delle banche del sangue. Ha organizzato 6 postazioni per la donazione, che hanno permesso di raccogliere complessivamente 536 donazioni e, assieme alla banca del sangue e alle squadre di mobilitazione sociale, ha condotto una campagna di sensibilizzazione della comunità sulla prevenzione delle malattie infettive, resa ancora più efficace dalla diffusione di messaggi chiave tramite i programmi radiofonici locali.

    Un’attenzione particolare è stata rivolta all’inclusione dei gruppi marginalizzati secondo l’impegno dell’Agenda 2030 “Leave no one behind”. A questo proposito sono stati organizzati corsi di sensibilizzazione per il personale ospedaliero, sia amministrativo sia sanitario, in particolare, affrontando i temi della violenza di genere e dell’abuso, concentrandosi sull’aumento del rischio per minori e persone affette da disabilità.

    Inoltre, un’iniziativa particolarmente efficace è il programma distrettuale di tutoraggio clinico che mira a migliorare le conoscenze e competenze degli operatori sanitari, soprattutto nell’assistenza al parto.

    Competenze che crescono

    «Non avrei mai immaginato di poter essere così sicura di me e di migliorare le mie capacità nella gestione delle complicazioni ostetriche – afferma Susan Rogers, infermiera comunitaria statale che ha partecipato al programma per 19 mesi -. Le parole non sono sufficienti per esprimere il mio apprezzamento e ringraziamento verso il team sanitario del distretto e il Cuamm per avermi fatto partecipare al programma di tutoraggio. Questo è uno dei più grandi risultati della mia vita per il quale sono grata e che mi rimarrà per sempre nel cuore».

    «Grazie Cuamm!»

    Memunatu, mamma 26enne che vive sull’isola di Sharbroo, nel distretto di Bonthe, grazie al supporto di Medici con l’Africa Cuamm, ha dato alla luce in sicurezza il suo secondo figlio: «Nel 2016 sono rimasta incinta per la prima volta. Non avevo mai pensato di partorire in ospedale. Durante l’adolescenza, mamme e nonne ci hanno sempre detto che se avessimo rispettato nostro marito, saremmo riuscite ad avere figli senza ostacoli. Ma per me, e per tante ragazze come me, non è stato così. Da casa sono andata con mio marito all’ospedale governativo di Bonthe – occorrono tre ore di barca – poi, da Bonthe all’ospedale di Serabo, perché nel primo non c’erano medici. Allora, altre quattro ore di viaggio, tra barca e auto! A Serabo, purtroppo, era troppo tardi! Ho fatto il parto cesareo, ma mio figlio non ha resistito. Qualche mese dopo ero di nuovo incinta e, finalmente, ho avuto un bel maschietto. Desideravo altri bambini subito e sono rimasta di nuovo incinta, ma ho cominciato a notare che qualcosa non andava e l’ostetrica tradizionale mi ha detto che non poteva far nulla per aiutarmi. Fortunatamente, avevamo saputo dalla radio e dal Community Health Worker che il Cuamm ha un medico assegnato 24 ore su 24 e 7 giorni su 7 al grande ospedale. Così, la mia terza gravidanza, che ho avuto tempo dopo, è stata serena. L’unica cosa che posso dire al Cuamm è GRAZIE!».

    Un lavoro di squadra

    «Fatty, 16enne alla sua prima gravidanza, – racconta il dottor Steven Ngoma – è arrivata in ospedale con una grave pre-eclampsia. Dal momento che il Cuamm ha formato buona parte del personale del Nems (National Emergency Medical System), per fronteggiare questa emergenza mi sono coordinato con il mio collega Francesco Venturini, responsabile del progetto Nems a Freetown per organizzare una missione di salvataggio della paziente e del suo bambino. Quando abbiamo sentito la sirena dell’ambulanza, eravamo tutti felici per la futura mamma! Due giorni dopo, ho ricevuto una telefonata dal mio mentore che mi diceva che Fatty aveva avuto un bel bambino di 2,7 kg in seguito ad un parto cesareo d’emergenza».

    Parole che trovano concretezza nei risultati: nei numerosi ospedali in cui il programma “Saving Lives” è stato attuato non si è registrata nessuna morte materna per due anni. Una stretta collaborazione con gli ospedali e le comunità locali che continua e che dà prova, ogni giorno, di essere essenziale per migliorare la salute di mamme e bambini nel Paese.