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Non c’è salute senza salute mentale

Obiettivo della Giornata internazionale della salute mentale 2022 è rendere la salute mentale una priorità globale, di tutti, in ogni angolo del mondo. Non mancano esempi virtuosi.

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    «Non c’è salute senza salute mentale». È il messaggio scelto dall’Organizzazione mondiale della sanità per celebrare la Giornata internazionale della salute mentale, che ricorre ogni 10 ottobre. Istituita nel 1992, la ricorrenza nasce allo scopo di promuovere la consapevolezza sulla salute mentale contro ogni forma di stigma sociale. Obiettivo dell’edizione 2022 è rendere la salute mentale una priorità globale, di tutti, in ogni angolo del mondo.

    «La malattia mentale – sostiene Giovanni Putoto, responsabile della Programmazione e dell’area scientifica del Cuamm – è una delle sofferenze più dimenticate in Italia come in Africa. Il nostro Paese è stato coraggioso: grazie alla legge Basaglia, ha fatto un grande passo avanti, de-istituzionalizzando l’approccio al paziente. L’Africa, invece, si trova ancora nella fase iniziale di conoscenza della malattia mentale, che ha tante sfaccettature. Il Cuamm, in particolare in Mozambico, prova a dare una risposta alle categorie di persone in condizioni di salute mentale più fragile: gli adolescenti, in particolare quelli Hiv positivi, che vivono uno stato di vera e propria sofferenza sia perché sono infetti, sia perché con la pandemia da Coronavirus hanno sofferto, notevolmente, di solitudine. Riscontriamo povertà di diagnosi e povertà di servizi. In collaborazione con le autorità locali, allora, abbiamo iniziato ad inserire la figura dello psicoterapeuta o dello psicologo clinico, in supporto agli adolescenti con Hiv. Le risorse sono estremamente limitate e i modelli africani sono differenti da quelli ai quali siamo abituati. In Occidente i professionisti lavorano in team multidisciplinari: non c’è solo lo psicologo clinico, che fa psicoterapia individuale o di gruppo, abbiamo un neuropsichiatra e tante altre figure competenti. In Africa questo non succede.

    Un secondo aspetto che osserviamo riguarda il valore della risposta sociale attraverso il contributo delle associazioni giovanili locali. Tutte le persone, i giovani in primis, hanno codici comunicativi specifici, spazi che frequentano e, se siamo in grado di coinvolgerli in senso positivo, offrono un contributo importante per la riduzione del disagio psicologico, supportando coetanei che hanno alle spalle esperienze di grande marginalità e di sofferenza relazionale, soprattutto in famiglia.

    Altra categoria a rischio sono le donne vittime di violenza di genere: verbale, fisica, sessuale, economica. Anche in questo caso, il tipo di approccio che stiamo cercando di dare si rivolge a persone che vivono in situazioni di stress molto forte: le donne nei campi di sfollati. Giovani che hanno perso le proprie radici, le minime sicurezze e attraversano uno stato di precarietà permanente. L’approccio, seguendo le indicazioni internazionali, è quello di fornire loro un luogo sicuro e un’assistenza che tocca tre dimensioni: quella sanitaria; quella psicologica (per capire se c’è una forma di disagio, una patologia, come la depressione, l’ansia); quella dell’assistenza legale che non diamo noi come Cuamm, ma ci affidiamo ad associazioni del posto».

    «Abbiamo coinvolto – spiega Giulia D’Odorico, coordinatrice a Pemba (Cabo Delgado) di un progetto sulla violenza di genere – tutte quelle figure che sono fondamentali a livello comunitario, come i guaritori e le ostetriche tradizionali, gli operatori di salute comunitaria. È importante cercare un dialogo con loro, che fanno da ponte e sono attori centrali nella risposta alle necessità della popolazione. Abbiamo organizzato attività di sensibilizzazione, come il teatro comunitario e incontri rivolti ad adolescenti e donne, promuovendo alcune buone pratiche per identificare reti di supporto per affrontare la questione della salute mentale: innanzitutto, famiglia e amici, poi la possibilità di cercare un aiuto più specialistico tramite il Cuamm e i centri di salute».

    «Il maggiore fattore di rischio alla malattia mentale – conclude Putoto – è la solitudine e in Africa sempre più persone ne soffrono, dai migranti, agli sfollati, tutti coloro che ai confini del mondo. Oggi la solitudine non è più considerata solo un tratto psicologico, ma un fattore di rischio per la salute. La risposta del Cuamm, intanto, è nel CON. Condividiamo e costruiamo. Con forza, costanza e pazienza per offrire percorsi assistenziali.

    Non mancano esempi virtuosi, come l’ambulatorio per la salute mentale di Wolisso, in Etiopia. Una struttura che funziona… e che ha pazienti! Così come i progetti attivi in Sud Sudan e una ricerca in partenza in Tanzania. Piccoli grandi risultati del Cuamm, che tutto l’anno si batte contro ogni forma di stigma sociale».