Medici con l'Africa Cuamm

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“Vengo domani. Oggi devo fare la conserva!”

17.000 vaccinazioni effettuate in circa 2 mesi di attività, 160 volontari, tra sanitari e non, che prestano servizio, 4 linee vaccinali. Al Centro di Vaccinazione di Rubano le persone si sentono accolte e accompagnate nel percorso della vaccinazione.

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    C’è l’insegnante che vuole farsi vaccinare per poter continuare il suo lavoro; la nipote di 34 anni che accompagna la nonna, di circa 70 anni e la bisnonna di oltre 90, e tutte e tre si vaccinano insieme; ci sono due giovani, arrivati al Centro vaccinale la sera, per vedere se avanzavano dosi, e si giocano l’ultima rimasta a “sasso, carta, forbice”. Chi perde, torna il giorno successivo. E ancora, chi durante gli Europei di calcio ha fretta di passare dalla sala del vaccino a quella dell’attesa post-dose, dove c’è la tv sintonizzata sulle partite; la persona no-vax che ha avuto il Covid e si è convinta a fare la dose di vaccino; chi è sopravvissuto alla terapia intensiva e ora non ci pensa due volte a vaccinarsi e poi gli “invisibili”, cinesi, pakistani, immigrati irregolari che si sono convinti solo ora, perché temevano di essere denunciati, presentandosi a fare il vaccino.

    Sono le storie che incontrano ogni giorno i volontari che gestiscono il Centro vaccinale di Rubano, in provincia di Padova, organizzato da Medici con l’Africa Cuamm con il supporto della Regione Veneto, dell’Aulss 6 Euganea e del Seminario Minore della Diocesi di Padova. 160 volontari, 100 sanitari, 60 non sanitari che ogni pomeriggio e nel fine settimana si mettono a disposizione nel Centro. Ognuno ha il suo ruolo, chi fa l’accoglienza, chi registra, chi effettua il vaccino; chi suddivide le dosi. Ognuno ha la sua storia e il suo percorso. Tutti uniti da un’unica motivazione: fare qualcosa di utile e concreto per combattere questa pandemia, essere di aiuto agli altri e alla comunità.

    «Volevo rendermi utile nella lotta al Covid19, con un servizio concreto e il più anonimo possibile – racconta Giovanni Polato, volontario -. Non sono un sanitario, quindi mi occupo del triage, dell’area di monitoraggio e accompagnamento delle persone che accedono al Centro. Vado circa una volta a settimana. È un servizio un po’ impegnativo, perché devi stare lì 6 ore, poi arrivo sempre un po’ prima e se c’è qualcosa da fare, mi fermo di più, ma sono contento di farlo. Il lavoro è ben organizzato. C’è molta attenzione alla persona, un clima cordiale e confidenziale. Accogliente. Si instaurano rapporti fraterni, amichevoli con tutto lo staff, ma anche con chi arriva per la vaccinazione. Si respira un’aria di aiuto reciproco, di fraternità e solidarietà che mette le persone a proprio agio». E continua: «Sono un insegnante di lettere in pensione, sono stato preside della scuola di Rubano per due anni e mi sono sentito di dare una mano proprio qui. Così ho potuto rivedere alcuni miei ex-alunni e i loro genitori che sono venuti a farsi vaccinare: un incontro inaspettato e carico di affetto e stima che mi ha dato molto».

    Marisa Cossu, un’altra volontaria non sanitaria dice: «Ci sono molte storie che mi hanno colpito, tante quante le persone che arrivano. Un’immagine che mi torna spesso alla mente è quella di un signore di origine ucraina, di circa 40 anni, alto, bello, accompagnava il figlio di 20 anni, alto, bello come il sole, ma cieco. Storie di persone anziane che, con il loro bastone, arrivano anche in questi giorni e mi preoccupano per il loro ritardo al vaccino. Nel servizio di accettazione che svolgo ho cercato di essere accogliente, sorridente e amorevole, perché anche a me piace questo modo di essere. Il primo giorno di volontariato, il dott. Giovanni Putoto del Cuamm mi ha detto: “qui ci si dà del tu, siamo tutti uguali, siamo qui per l’altro. Questo è lo stile in cui credo e che condivido, da sempre. Un giorno sono arrivate due sorelle di 70 e 75 anni. Una era decisa a fare il vaccino, l’altra no, nonostante avesse avuto il marito con il Covid. Vista l’età, l’ho inserita di mio pugno, con la promessa che avrebbe deciso se farlo o meno durante il passaggio dalla sala di attesa all’ambulatorio vaccinale. A distanza, l’ho accompagnata. Quando è uscita le ho chiesto se l’aveva fatto. Lei mi ha preso il braccio e a bassa voce, sorridendo, mi ha detto: “Adesso le spiego. Non l’ho fatto perché devo fare 40 Kg di conserva di pomodoro. Vengo domani!”».

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