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Quando le mamme sono i nostri occhi

Le mamme sono le prime infermiere dei loro bambini. Sono i nostri occhi e le nostre mani. Ma non sempre va così. La testimonianza di Francesca Dalla Porta, specializzanda in Pediatria, tornata da Tosamaganga, in Tanzania.

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    «Quando sono arrivata a Tosamaganga, in Tanzania, era il 21 agosto 2022. Poco dopo, il 28, in ospedale abbiamo ricevuto Fatuma, una bambina di 5 anni e 8 chili. Un bambino di un anno dovrebbe pesarne 10! Malnutrita e ammalata di Aids, Fatuma era accompagnata dalla mamma, a sua volta sieropositiva, altrettanto fragile psicologicamente e senza un marito. Fatuma ha avuto tutte le complicanze possibili immaginabili, fino al coma, nel mese di ottobre. Ogni sera le mie colleghe ed io la salutavamo, convinte che il giorno dopo non l’avremmo più trovata. Una mattina, non sappiamo come, Martina, la mia tutor, mi chiama: “Corri, Fatuma ha aperto gli occhi!”.
    Tre giorni dopo questa gioia inaspettata, la mamma ha abbandonato la piccola in reparto. Era una domenica mattina, quando l’infermiera l’ha vista uscire per sempre dal reparto: “Fatuma sta bene, c’è il dottore con lei”, sono state le sue ultime parole. Mai lo avrei immaginato, perché in Africa le mamme sono le prime infermiere dei loro bambini. Sono i nostri occhi e le nostre mani. Il personale sanitario scarseggia, per questo è fondamentale che ci siano anche loro a prendersi cura dei pazienti. Siamo abituati a modelli d’équipe a due, mentre qui siamo in tre: medico, infermiere e genitore. Ho incontrato anche papà meravigliosi!

    Fatuma è tornata alla vita, pian piano. Recuperando forza, stando sempre in braccio a noi operatori. Ha iniziato a parlarci, perché all’inizio era spaventata. È stata dimessa, finalmente, dopo tanti mesi di degenza. È stata portata in orfanotrofio a Migoli, nella periferia del distretto di Iringa, dove l’ho abbracciata, prima del mio rientro in Italia, poco prima che cominciasse la scuola!
    Sul campo ho potuto sviluppare una ricerca, tema della mia tesi di specialità, che riguarda proprio la malnutrizione. Abbiamo osservato come questo fenomeno colpisca soprattutto bambini con fragilità pregresse. Il bambino neurologico, ad esempio, o con epilessia, è più colpito dalla malnutrizione. Tanto più il bambino è fragile, meno è in grado di chiedere aiuto, di alimentarsi, tanto più non si svilupperà. Un circolo vizioso che porta questi bambini ad essere molto più fragili davanti all’evento acuto. Sono talmente indeboliti in modo cronico che quando partiamo con il protocollo contro la malnutrizione, questo non è efficace.
    Nonostante le difficoltà, i Tanzaniani ci insegnano che non abbiamo diritto a rassegnarci. E la storia di Fatuma è un esempio. Al di là della medicina in senso stretto, bisogna valorizzare al meglio quello che abbiamo, puntando più sull’équipe sanitaria che sulle risorse materiali. Dobbiamo fare con quello che c’è e, soprattutto, con le persone che ci sono che rappresentano una risorsa enorme».