Medici con l'Africa Cuamm

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La Sierra Leone si prepara Contro il coronavirus

In Sierra Leone ancora non ci sono casi confermati di coronavirus, ma l’allerta è alta, l’arrivo del virus è dato per certo e la gente ha paura. Tutti ricordano  ancora troppo bene quel che è successo con Ebola, solo sei anni fa.

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    Mentre WHO invita i paesi africani a prepararsi allo scenario peggiore, il presidente della Sierra Leone Julius Maada Bio mercoledì 18 marzo è apparso in televisione, per mettere in guardia la popolazione. Intanto, per le strade, agli ingressi degli uffici e degli ospedali, si moltiplicano i distributori di disinfettante, qualcuno comincia ad indossare la mascherina e in generale si respira un clima di paura e allerta.

    Medici con l’Africa Cuamm è presente in Sierra Leone da prima dell’epidemia di Ebola del 2014-2016, che causò oltre undicimila morti in Africa occidentale, e in questi giorni è coinvolto in prima linea nella preparazione del paese alla risposta alla nuova epidemia:

    «Con i primi casi registrati in Guinea e Liberia – spiega Simona Ponte, rappresentante Paese di Medici con l’Africa Cuamm in Sierra Leone – l’arrivo del coronavirus è dato per certo. Il governo ha dispiegato l’esercito ai confini per controllare gli accessi dai paesi confinanti, ma è ovviamente molto difficile controllare gli spostamenti delle persone. Come Cuamm, in linea con la strategia individuata dal governo, ci stiamo organizzando per garantire negli ospedali in cui siamo presenti delle tende di isolamento, in modo che al momento dell’ammissione i pazienti sospetti di coronavirus possano essere isolati in maniera preventiva. Vogliamo evitare il contagio tra pazienti in ospedale e tutelare i ricoverati per altre malattie, ma soprattutto le donne in gravidanza, che devono poter continuare a venire in ospedale serenamente, per partorire assistite».

    La lezione di Ebola

    Come ha insegnato Ebola, ogni epidemia porta con sé le vittime dirette, ma anche le vittime indirette: persone che non vanno in ospedale per paura di essere contagiate, oppure che, per il sovraffollamento delle strutture, non possono ricevere cure adeguate. Medici con l’Africa Cuamm ha a disposizione uno strumento importante per continuare a garantire l’accesso alle cure anche in tempo di epidemia: si chiama NEMS ed è il servizio di 118 nazionale che ha messo in piedi negli ultimi due anni. Come spiega Riccardo Buson, responsabile delle operazioni del NEMS:

    «Grazie all’esperienza accumulata, siamo oggi all’interno della task force governativa dedicata alla gestione dei casi di contagio da coronaviurs e siamo in prima linea nel preparare la risposta al virus. Ci sono delle lezioni apprese da Ebola che stiamo mettendo a frutto. Per esempio, già adesso vediamo un calo delle chiamate al numero di emergenza per le ambulanze: la gente comincia ad avere paura di montare in ambulanza, di andare in ospedale. Pensano che siano luoghi in cui si può essere contagiati. Il rischio è che le persone, sfiduciate, restino a casa e muoiano per complicazione che si potrebbero curare in ospedale, soprattutto se parliamo di emergenze ostetriche o pediatriche. Allora abbiamo già destinato 9 ambulanze in tutto il paese al trasporto esclusivo dei casi sospetti di coronavirus: lo stiamo comunicando, in modo che tutti sappiano che non si corrono rischi di contagio montando su un’ambulanza».

    I bisogni

    «L’aeroporto – spiega Simona Ponte – praticamente sta sospendendo tutti i voli con l’Europa; le frontiere sono chiuse e anche il traffico portuale a Freetown è molto diminuito: per un paese che importa tutto, vuol dire che le merci cominciano già a scarseggiare e i prezzi ad aumentare».

    Una tendenza che vale anche per i mezzi di protezione (mascherine, guanti, disinfettanti) di cui Medici con l’Africa Cuamm sta rifornendo ambulanze e ospedali. Quasi nulla anche la disponibilità di ossigeno concentrato e non esistono i reparti di terapia intensiva, rendendo il trattamento dei pazienti praticamente impossibile, nel caso di un’epidemia.

    Un appello speciale per le nostre comunità

    Aiutaci a comprare 4 respiratori per 4 ospedali italiani

    L’Italia vista dall’Africa

    «In una situazione che ci ha costretto a convincerci di non essere invincibili, i clinici italiani dimostrano un enorme coraggio e senso civico»

    commenta Simona Ponte, aggiungendo:

    «Ho amici e parenti medici, sono in contatto e sono preoccupata per i miei cari, vedo che tutti stanno facendo grandi sacrifici. Mi sono detta però che non sarei stata molto utile se fossi rientrata in Italia: non sono un medico e il mio contributo sarebbe stato minimo, mentre qui c’è ancora molto che possiamo fare per aiutare il paese a prepararsi ad un’eventuale epidemia, che è l’ultima cosa che vogliamo che accada».

    Della stessa idea Riccardo Buson:

    «Stiamo lavorando tutti molto in questi giorni per prepararci all’emergenza, non c’è stato molto tempo per fermarci a riflettere, decidere se e quando tornare a casa. Negli ospedali e con il servizio delle ambulanze NEMS siamo in prima linea, penso che in questo momento il nostro posto sia qui. Certo, sono preoccupato per la mia famiglia a casa: è difficile pensare che se qualcuno dovesse stare male non potrei facilmente tornare ad assisterlo. Suppongo che i medici e il personale sanitario italiano siano molto sotto stress, seguiamo anche da qui le loro storie di coraggio e dedizione al lavoro. Sinceramente ci auguriamo che non accada una cosa simile in Sierra Leone, perché il Paese non ha le risorse economiche e di spirito per rispondere con la stessa energia ad un’altra epidemia».